brie_amore_violenzaVINCENZO SARDELLI | Amori romantici. Amori molesti, malati e violenti. César Brie mette in scena al Campo Teatrale di Milano il dramma “Indolore”, strana alchimia di un amore che fiorisce, degenera e si autodistrugge.

I protagonisti sono una coppia di giovani sposi, Gabriele Ciavarra e Adalgisa Valvassori, che rimangono per tutto il tempo sul palcoscenico con l’abito della cerimonia nuziale. Lei entra in casa tra le braccia di lui. L’ingresso è un arco trionfale di fiori e agrifoglio. Sembra la premessa di un avvenire radioso. Una tavola imbandita e due sedie, foderate di carta di giornali da scartare, sono la scenografia minimalista: gli amori nascono, crescono o sfioriscono a letto, ma anche a tavola.

L’illusione di un nuovo mondo da vivere, di un futuro da esplorare e costruire insieme, tramonta presto, senza preamboli e spiegazioni. Stoviglie d’alluminio qua e là richiamano una quotidianità tanto banale quanto impossibile da raggiungere. Ai lati della scena, buttati via, compaiono due paia di guantoni da box.

Quella casa che doveva essere un nido d’amore diventa un ring di pugilato. Lo spazio scenico è un quadrato delimitato da corde iridescenti multicolori. Tra queste luminarie-prigione si alternano conflitti e tregue, tracce di un sentimento che il tempo, l’abitudine e l’incapacità di comunicare trasformano in un luogo di violenza.

È proprio la violenza domestica l’oggetto di “Indolore”. È un fenomeno diffuso e poco denunciato. Le vittime, comunemente donne e bambini, vivono un forte senso d’impotenza.

César Brie riflette sui meccanismi perversi che legano in un sottile cerchio la vittima e il carnefice. La violenza in amore non è mai lineare, è sempre un intrico ambivalente. Le stesse mani accarezzano e colpiscono. La stessa voce blandisce e ferisce. Le promesse di non farlo “mai più” si avvicendano alle umiliazioni e alle minacce.

I due protagonisti, dalla recitazione acerba, lontana dalla solennità e da ogni eccesso virtuoso, si muovono leggeri sulla scena. Corrono, danzano, urlano. Non lasciano il palco spoglio neppure un secondo.

Il tavolo al centro della scena diventa luogo conviviale, piedistallo, alcova, rifugio, patibolo. L’acqua e il cibo sono strumenti di condivisione e di rigetto. L’acqua pulisce, gela, ferisce. L’amore diventa bulimia. I due sposi si attraggono e si respingono, si cercano e si dividono.

Non c’è mai violenza vera. Non ci sono mai veri spintoni: sempre violenza sugli oggetti, o solo dichiarata. Ma i segni della violenza quelli sì, si vedono.

La scenografia, il ring di pugilato, è metafora di un luogo chiuso: non se ne esce se non sconfitti, distrutti psicologicamente, feriti o morti.

Le musiche originali di Pietro Traldi, pianoforte, chitarra, fisarmonica, richiamano ora temi romantici alla Debussy, ora toni festosi da sagra paesana. Fanno da contrappunto allo sfaldamento della storia, la cui pecca sta nell’eccessiva sinteticità, nell’eludere con passaggi troppo repentini le sfumature dall’idillio al disfacimento.

Ma è proprio questa la cifra di César Brie: un teatro che non vuole diventare chiesa, un montaggio estetico più che narrativo, evocativo, mai didascalico. “Indolore” perché, anche nell’affrontare il delicato tema della violenza sulle donne, Brie si tiene lontano da eccessi patetici e inquietanti, persino da una visione manichea che definisca con troppo rigore il colpevole e l’innocente.

“In dolore” è in scena dal 31 gennaio al 3 febbraio e dal 7 al 10 febbraio.

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