exit-paravidinoLAURA NOVELLI | E’ una commedia briosa, intelligente, lieve il nuovo testo di Fausto Paravidino, “Exit”, che lo stesso autore porta in scena al Piccolo Eliseo di Roma con un cast di ottimi interpreti composto da Sara Bertelà, Nicola Pannelli, Angelica Leo e Davide Lorino. Si parla sostanzialmente di amore. Amori incerti, sfioriti, inquieti, alla ricerca di un (im)possibile equilibrio. Ma se il tema è a dir poco abusato, la forma che il noto drammaturgo genovese adotta in questa piéce possiede una forte originalità: una struttura a episodi che insegue il ritmo cinematografico del migliore Woody Allen intercettando echi del teatro di Jon Fosse e un certo gusto per lo straniamento brechtiano.
E certamente vi si ritrovano pure tanti aspetti propri della produzione precedente dello stesso Paravidino, dall’approccio investigativo nei confronti delle relazioni affettive (e basti citare “La malattia della famiglia M”, fortunato lavoro approdato quest’anno anche alla Comedie Française di Parigi) alle diffuse venature socio-politiche (“Genova 01” o “Noccioline”), dal taglio agrodolce delle battute alle continue sfasature temporali, fino a quella felice circolarità della scrittura per cui nessun elemento drammaturgico appare causale o viene sprecato. Qui, però, l’astrazione geometrica in cui i personaggi, semplicemente A,B,C e D (con buona pace di Beckett), si muovono e agiscono, pur se simbolica di migliaia di situazioni simili, sembra sospingere il registro complessivo del lavoro verso una drammaticità volutamente negata, volutamente ingoiata, o meglio, volutamente esteriorizzata. Prendendo, infatti, a motivo ispiratore il celebre testo di Fosse “E la notte canta” (allestito da Valerio Binasco nel 2008), e dunque un algido quadro di incomunicabilità di coppia dilaniato da pause e silenzi fino al tragico risvolto dell’epilogo, Paravidino lo dilata attraverso la lente dell’ironia e lo rilegge con levità quasi disarmante, affidando ai protagonisti (Bertelà e uno splendido Pannelli) il duplice compito di immedesimarsi nei panni di una moglie e un marito (tra l’altro docente universitario di politica internazionale) in crisi e, nel contempo, di raccontarne al pubblico (come se questo fosse assimilabile, appunto, alla cinepresa di Allen) i risvolti emotivi, le sensazioni, la storia cronologica del loro rapporto, i motivi di litigio (un paio di calzini avuti in regalo, le divergenze ideologiche, la gelosia mal riposta, il desiderio/paura di avere figli), la decisione di separarsi.
Il tutto con distaccato vigore didascalico, quasi fossimo incappati in un “Pasticciaccio” di Gadda/Ronconi rivisitato in toni sarcastici o, più opportunamente, in un’opera di Jaun Mayorga. Scandito in tre capitoli (“Affari interni”, “Affari esteri”, “Resa dei conti”), lo spettacolo poi, a livello visivo, sembra un ritmato omaggio al ready made postmoderno, con quell’affastellarsi di oggetti feticcio del contemporaneo (insegne, scritte al neon) che ne sottolinea lo svolgimento e quei colori acidi che ne puntualizzano la sarcastica allegria di fondo. Allegria fino a certo punto ovviamente. Perché è naturale che il matrimonio, scoppiato per problemi interni, produca poi nuove relazioni esterne, incarnate da una giovane studentessa di B molto alternativa e sinistrorsa e un ingenuo suonatore di chitarra tutto cuore e altruismo (un Lorino spontaneo e disinvolto).
Tuttavia, malgrado queste vie di fuga (o forse proprio grazie a loro), alla fine il cerchio si chiude, i conti di pareggiano, e non importa capire dove la storia vada a parare perché, si sa, negli affari di cuore non c’è mai nulla di scontato. Messi in gioco tutti i cliché del caso, insomma, Paravidino riesce a sovvertirli con arguto divertimento, mescolando la quotidianità delle relazioni con la guerra in Iraq, Bush e la dittatura; barattando la fragilità degli uomini e delle donne con la forza magnetica dell’esistenza stessa. E dunque “Exit” (prodotto dal Teatro Stabile di Bolzano che ne ha già programmato una tournèe italiana per l’anno prossimo) non può che piacere, divertire, far pensare. Il pubblico esce dalla sala contento, alleggerito, compiaciuto di vedere come la sua vita somigli a quella di molti. In definitiva, un lavoro assai godibile, ben fatto, ben scritto, ben recitato. Anche se, personalmente, rimpiango un po’ il Paravidino di “Natura morta in un fosso”, portato al successo da Fausto Russo Alesi nel 2001. Forse semplicemente perché di crisi di coppia, di matrimoni alla deriva, di tentativi di fuga dal grigiore della routine ne abbiamo fatto una tale scorpacciata da digerirne a fatica anche le pietanze più riuscite.

Un video sullo spettacolo
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