17164742VINCENZO SARDELLI | Sbarazzina e pimpante la rassegna teatrale dedicata alla nuova creatività al Menotti di Milano. Sul palco le due compagnie, Idiot Savant e ZwischenTraumTheater, che hanno ottenuto lo scorso anno alla rassegna “Scintille” di Asti rispettivamente la menzione speciale e il primo premio.

L’intento programmatico di Idiot Savant è già nel nome: un ossimoro che qualifica persone con ritardi mentali gravi, con insospettabili talenti soprattutto di tipo creativo.

Sottilmente geniale, amabilmente idiota è la pièce portata in scena dalla compagnia, dal titolo “Shitz – pane amore e… salame”, tragicommedia musicale del drammaturgo israeliano Hanoch Levin. Due tempi senza intervallo, due ore di buona recitazione, con qualche lungaggine finale di troppo.

L’umorismo Yiddish della pièce esibisce le proprie debolezze in modo onesto. L’effetto è liberatorio. Tanta carne al fuoco: sfaceli familiari, attaccamento al denaro, un cinismo nero pieno di battute politically uncorrect sfacciate e autoironiche.

La scena è per una famiglia di ebrei osservanti, seduti attorno a un tavolo. Sulla destra, in primo piano, un improbabile quanto ironico chitarrista attacca canzoni una più demenziale dell’altra. Le note balenghe ispirano, con effetti teneri ed esilaranti, le velleità canore e ballerine dei protagonisti, dagli attributi sessuali goffamente accentuati da sacchi-marsupio.

La storia. Shitz, capelluto e barbuto capofamiglia, e quel maschione di sua moglie Setcha, sono occupatissimi a far sposare la figlia Shpratzi, aspirante orfana e single disperata, paranoica ripiegata in un’orgia di cibo senza scampo. Ma oplà, la ragazza s’innamora, ricambiata, del giovane Tcharkés, vanaglorioso arrivista senza scrupoli, che decide di sposarla. Festeggiamenti folli, poi un turbine di peripezie trascina la famiglia dall’impudica felicità verso lo sconfortante annientamento dovuto alla malattia e alla guerra. Guerra e malattia sono mali endemici di questa scapestrata famiglia, i cui accidenti sono esaltati dalle intuizioni genialmente comiche della cultura Yiddish.

Bravi gli attori, buona la regia, con un ritmo e una vicenda che tiene pero solo per due terzi della durata. Perché poi i protagonisti s’innamorano degli applausi, si avvitano in un monocorde narcisistico esercizio di stile, e non ne vogliono più sapere di scendere dal palcoscenico.

Peccato di gioventù. La prossima volta i protagonisti Giuseppe Barbaro, Pier Paolo D’Alessandro, Mauro Lamantia, Valentina Picello e Mattia Sartoni (musiche originali Filippo Renda e Simone Tangolo) sapranno limare quei buoni venti minuti: lo spettacolo guadagnerà in leggerezza e gradimento.

Leggerezza e gradimento sono invece abbinamento riuscito col senso della misura nello spettacolo “Stranieri”, della compagnia svizzera ZwischenTraumTheater, vincitore del premio Scintille. “Stranieri” è una riflessione sui temi della tolleranza e della multietnicità. Lo spettacolo, molto fisico, unisce danza, recitazione e musica. La pièce, originale, è fatta di storie personali, di fughe verso la libertà, di confronti fra culture sui temi dell’ingiustizia.

Sono storie di sogni. S’intrecciano musiche e voci. Lingue diverse si fondono, scivolano con le immagini che evocano.

Sette attori di tre nazionalità (italiana, belga, tedesca) sul palcoscenico si frantumano a incarnarne altre identità ancora: maghrebina, russa, rumena. Si rifugiano in uno scantinato senza documenti, senza nome né privacy. Sono clandestini, persone illegali che vivono di espedienti, sfruttati dal lavoro nero. Sono laureati costretti all’elemosina, persone che si vendono, richiedenti asilo, persone cui non è stato rinnovato il permesso di soggiorno, gente di passaggio che si nasconde.

Lenzuola appese, costumi multicolori, danze e note esotiche: “Stranieri” è un coro d’immagini, di parole che diventano ricordi, paure, bisogni. Uomini e donne evocano altri uomini e altre donne. Sono frammenti di storie recitate in coro, voci solitarie che rompono il silenzio, immagini veloci di volti, di labbra e di occhi.

Il palco diventa vaudeville e bidonville, corsa di movimenti. È una multicultura dissacrante e ironica, senza vittimismi, e senza nascondere i problemi che stanno dietro ogni esperienza di viaggio, dietro il tentativo spregiudicato di evadere dalla miseria. È un melting-pot dinamico che dalle parole passa per il corpo e raggiunge vorticose espressività. Il gioco spiazza il pubblico, con una marea di danze soft, individuali e corali, che si sposano con la sceneggiatura.

I versi finali di “Siamo figli di nessuno”, poesia del fotografo iraniano Reza Khatir, ci ricordano che, da qualunque parte veniamo, ognuno in fondo racconta una sola storia: lasciare alle spalle il passato, scivolare sul presente, immergersi in apnea nel futuro. Laura Belli, Daniele Bianco, Lea Lechler, Daniele Pennati, Adele Raes, Lorenzo Torracchi, Jördis Wölk contribuiscono ciascuno col proprio punto vista a creare un lavoro omogeneo che tocca corde profonde, e che elude ogni tentazione virtuosistica fine a se stessa.

SHITZ della compagnia Idiot Savant:
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=OKBvbZszB0E]
STRANIERI della compagnia svizzera ZwischenTraumTheater:
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=v2OoEEY–H4]