wimvandekeybus_ultimavez_whatthebodydoesnotremember1BRUNA MONACO | Si è chiuso febbraio e così anche Equilibrio – Festival della nuova danza, una delle rare occasioni in cui a Roma si possano apprezzare spettacoli di danza contemporanea internazionali e di qualità. Anche quest’anno è stato il coreografo belga Sidi Labi Cherkaoui ad aver selezionato pièce e compagnie. Compagnie fiamminghe per la maggior parte, segno decisivo che oggi, sul fronte della danza contemporanea, il Belgio è l’avanguardia d’Europa. Da Bruxelles non solo Cherkaoui (oltre che direttore artistico autore di Puz/zle, andato in scena l’11 e 12 febbraio), ma anche Ali e Hédi Thabet (i fratelli belgo-algerini autori di Rayahzone). Belgi i Peeping Tom, che hanno chiuso la rassegna con la loro ultima geniale creazione A louer. E, a dispetto dell’ispanismo, anche Ultima Vez appartiene alla compagine delle formazioni belghe, fondata dal coreografo dal nome, invece, riconoscibilmente fiammingo: Wim Vandekeybus. What the body does not remember e Booty Looting i titoli dei due spettacoli portati a Roma da Ultima Vez. Due spettacoli che racchiudono tutta una carriera, i ventisei anni della compagnia, la loro prima e ultima creazione.

È con What the body does not remember che Ultima Vez esordì nel 1987, riscuotendo un gran successo di critica. Ora Wim Vandekeybus riporta in scena il capolavoro che fu definito “straordinariamente innovativo”. Forse per mettere alla prova il tempo e i suoi progressi: per verificare se “innovativo” possa suonare come una condanna, essere un’etichetta eterna. O per verificare se, oltre che innovativo, What the body does not remember sia al contempo capace di parlare ancora, a un pubblico nuovo. L’organico è cambiato rispetto al debutto: i danzatori sono duttili, giovani, bravi. Il What the body does not remember a cui assistiamo oggi è uno spettacolo impeccabile sul piano formale, che raggiunge dei picchi di grazia nelle coreografie: ipnotiche, ironiche, intense.

Strutturato in quadri che per scenografia, musiche e mood sono tra loro così lontani da far credere a tratti che si sia davanti a piccole pièce a sé stanti. Due uomini sono manipolati da una donna che sbatte le mani su un piano amplificato: ogni colpo sul piano un movimento dei danzatori. Colpo, movimento. Un colpo diverso, un movimento diverso. Prima lenti e pesanti, poi si fanno rapidi. La danza è un crescendo e così la pietà dello spettatore rapito da quel dibattersi al suolo, coatto, senza speranza di emancipazione, sempre a seguire i colpi sferzati senza cautela e amplificati al punto da risuonare come un castigo anche alle orecchie del pubblico. Secondo quadro: camminando su mattoni di tufo entrano in scena prima uno, poi due, tre quattro dieci danzatori. Ognuno costruisce e poi va per la sua strada. L’incedere è faticoso, difficile mantenere l’equilibrio. Quando la fatica vince, si smette d’esser costruttivi e i pezzi di tufo diventano palle da rugby da lanciarsi e schivare, in un gioco pericoloso che sembra condurre all’autodistruzione. Ma per fortuna cambia lo scenario, si passa al terzo quadro, i toni del gioco si fanno pastello come i colori dei vestiti e asciugamani che soppiantano i mattoni: i danzatori attraversano la scena incontrandosi, scontrandosi, ad ogni incontro una metamorfosi. Incontro, metamorfosi. Scambiano le giacche, i foulard e i danzatori si fanno trasformisti. Buio. Quarto quadro: tre donne a braccia e gambe divaricate vengono perquisite, palpeggiate, da tre uomini. Un’immagine che con grande efficacia riesce a mostrare (come scrive Anna Kisselgoff) “donne che, come partner consenzienti, accettano la denigrazione della propria persona”. Dopo un quinto quadro leggero in cui si susseguono tableau vivant costruiti intorno all’idea di vecchie foto di famiglia, What the body does not remember si chiude con la violenza dell’inizio. Ma questa volta la violenza non è unidirezionale: tutti sono vittime e carnefici. Ogni vittima è carnefice di qualcuno che a sua volta è carnefice di qualcun altro. Poi di nuovo vittima. Come accade nella vita, nella realtà. Come se solo sulla violenza reciproca sancita da un patto si possano fondare le relazioni, la fiducia. Un danzatore al suolo è oppresso da uno in piedi che lo sfida a non avere paura. E inizia la danza di un pestaggio o “calpestaggio” fatto di colpi sempre elusi che ricorda il flamenco, ma anche le prove di valore per entrare nelle società massoniche: mano aperta sul tavolo e il coltello salta come ostacoli le dita. Come in una celebre scena di Nell’anno del Signore, capolavoro di Luigi Magni.
Un filo rosso fra i quadri, per quanto sottile e spesso sfuggente, attraversa tutto lo spettacolo. E riguarda le relazioni di potere fra gli esseri umani. Quindi le relazioni tout court.

Se c’è una pecca in What the body does not remember è un briciolo di autocompiacimento di troppo, che fa sì che i primissimi brillanti minuti di ogni quadro siano seguiti da tanti altri, più lunghi, a volte inutili. Ed è in quei minuti in eccesso che si perde il filo della narrazione, si depotenzia la carica detonante dello spettacolo, si diluisce la concentrazione delle scene e dello spettatore.
Pecca assente, invece, nell’ultimo spettacolo. In Booty Looting Ultima Vez integra i linguaggi: il teatro si accosta alla danza insieme alla fotografia, alla video arte, alla musica dal vivo. Uno spettacolo complesso per la stratificazione dei piani di significato che parla dell’ossessione della memoria, dell’impossibilità di farne un racconto che sia vero. Tanto testo, tanti elementi scenografici e una fitta tessitura drammaturgica fanno di Booty Looting il rovescio di What the body does not remember che si esprime soprattutto attraverso coreografie e immagini.

La varietà stilistica e la ricerca di un modo sempre nuovo di essere “innovativo” fanno di Ultima Vez una compagnia fra le più interessanti viste quest’anno a Equilibrio al Parco della Musica di Roma, convincente nelle premesse quanto nell’approdo. E speriamo di rivederla presto in Italia, magari insieme a un po’ più di danza contemporanea, magari anche prima della prossima edizione Equilibrio.

Alcune sequenze di Booty Looting
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