VINCENZO SARDELLI | Zona K a Milano, quartiere Isola, nuovo luogo di scambio tra generazioni, arti e culture, è il palcoscenico ideale per uno spettacolo come “GMGS – What the hell is happiness?”, allucinata riflessione post-moderna sull’(in)felicità, tagliente fiaba darwiniana senza lieto fine.
È la contaminazione di linguaggi la cifra stilistica di Codice Ivan. Caratterizza questa compagnia l’intreccio di multiformi soluzioni visive e di eclettiche abilità fisiche, in cui suoni e luce svolgono un ruolo decisivo.
Start. Buio pesto e bagliore fluttuante s’alternano. Dal cono d’ombra nasce una creatura mostruosa, avvolta da una maschera diabolica, preludio a una sorta di rito iniziatico. All’indistinto subentra l’atto creativo, l’informe genera la bellezza. Dallo stordimento di rumori confusi affiora un’armonia di rituali amplificazioni corali, che sublima nel lirismo di “Casta Diva”, lunare preghiera di Vincenzo Bellini.
In questo show ortogonale introdotto dalle intense vibrazioni di chitarra dei Private Culture, la scena è un pavimento-lavagna di forma rettangolare. Su di esso si curva Anna Destefanis, scimmia e velina, bella e bestia. La performer sardo-britannica incide disegnini, parole e scarabocchi che una telecamera digitale proietta su una parete verticale, nella quale lei stessa finirà per immortalarsi, diventando, come Charlie Chaplin in “Tempi moderni”, meccanismo degli ingranaggi. È un’animazione live. Lo zoom della telecamera fonde l’infinitamente piccolo e il virtuale, ritagli di giornale e disegni.
Il Divertinglese didascalico della protagonista dialoga, illustrandoli, con i cartelli che alla rinfusa l’altro performer, Benno Steinegger, porta in scena. La sequenza dei cartelli post-it fissa una catena stravagante: “Un tempo ero una scimmia”; “ero libero”; “mangiavo solo banane”; “ed ero felice”; “vivevo in un mondo perfetto”.
L’afflusso di cartelloni è incessante, intasa ogni centimetro dello spazio scenico. Il teorema che si delinea è che nella Storia progresso e senso estetico equivalgono a corruzione. La corruzione reca infelicità. Tra implacabili riferimenti illuministici stile Rousseau e stranianti soluzioni brechtiane, Codice Ivan propone come irrazionale scissione quello che, alla mentalità corrente, appare normale e ragionevole. Proiettata alla parete, si snoda una trama d’immagini di successo dichiarato ma effimero e velleitario. Il palco diventa caos di cubitali slogan in bianco e nero, che inchiodano l’umanità ad alternative-ultimatum: è preferibile essere uomini o donne? È meglio un figlio o un cane? Un cane o una casa? Una macchina o un figlio? Stare con lui o con lei? Con lei o con un’altra?
“GMGS – What the hell is happiness?” traccia con leggerezza e ironia una visione paradossale della storia dell’umanità. Felice era la mitologica infanzia antropomorfa correlata a uno stato di natura spensierato e appagante, dall’estetica scimmiesca nutrita di banane. Il degrado, l’infelicità avviene quando si passa dall’allungato ricurvo frutto con buccia gialla degli ominidi alla mela dell’Eden, dall’irsuta disarmonia dei quadrumani alla platinata afrodisiaca avvenenza femminile in t-shirt. Il climax dell’inanità si raggiunge quando la protagonista si produce in un buffo ballo-karaoke sulle note de “La isla bonita” di Madonna, fino alla denuncia dell’ossessiva contemporanea dipendenza da medicine, gioielli, fiale, droghe e social media.
La nostra vita di bestie civilizzate degenera verso l’egoismo. Chiede di colmare un ossessivo senso di vuoto. Impone di decidere. Decidere, etimologicamente, significa tagliare. Ogni scelta è lacerazione. Ogni lacerazione risucchia l’umanità in un vortice vizioso. Non resta che il delirio distruttivo. Steinegger, come un posseduto, s’impossessa di un mazzo di fiori tramite cui scarica una veemente grottesca forza annientatrice, squarciando i cartelloni che lui stesso aveva portato in scena.
Codice Ivan si mantiene fedele anche con questo progetto al bisogno di analizzare le istanze della società. Interroga e scuote il pubblico. È un teatro a tutto tondo che preferisce la forza icastica del gesto al potere descrittivo della parola. È un percorso artistico multimediale che sottolinea l’importanza evocativa e simbolica del suono, il potere delle immagini che interagiscono in tempo reale col corpo.
Il gioco di Codice Ivan diventa attualità. Senza farlo pesare, senza prendersi sul serio, diventa riflessione, pensiero, politica. È condanna dell’onnivoro capitalismo che rigurgita una perenne insoddisfazione, fino a esplodere.
L’originale performance drammaturgica e scenica, che si vale dell’apporto di Leonardo Mazzi, ha tutta l’aria di un “work in progress” che non dà risposte o ricette. Procede per flash, in una sorta di partenogenesi che tutto mescola e ridefinisce, nella fusione dei vari linguaggi, alla ricerca di significati sempre nuovi.
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Codice Ivan: AAA, felicità cercasi
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