MARIA PIA MONTEDURO | In principio era il varietà. Quello fine, elegante, fatto da artisti che sapevano cantare, con la musica rigorosamente dal vivo, con classe e capacità, con ballerini (una coppia in genere) che commentavano le canzoni e i momenti clou dello spettacolo. Garbo, stile, ironia, capacità di intrattenimento del pubblico. E poi la grossa dicotomia che è il fulcro dello spettacolo di varietà. Vale a dire che si presenta come uno spettacolo “scacciapensieri”, portato avanti per distrarre, non far pensare, sollevare la platea da ogni impegno mentale. Apparentemente.
Perché da sempre lo show, e prima l’avanspettacolo, il café chantant, poi lo show fondamentalmente d’impianto americano, hanno avuto un’anima satirica, corrosiva, ironica, a volte addirittura caustica. Il cantante, cabarettista o crooner che fosse, si ritagliava uno spazio apposito per la frecciata satirica, la blanda imitazione, l’aneddoto, più o meno cifrato, per deridere o sbeffeggiare il potente di turno. Certo la parte del leone è sempre stata della musica e della danza, ma un buon equilibrio tra cantato e parlato aiutava lo spettacolo a stara in piedi con più spessore.
Tutto questo si era trasferito anche negli show televisivi (Studio Uno docet) che per decenni avevano allietato le serate del pubblico italiano. Con l’avvio e il dilagare invece di una tv commerciale, tutto è miseramente naufragato. Grossolanità, faciloneria nella scelta degli intrattenitori e dei cantanti, battute volgari, corpi esibiti in termini rozzi e triviali. Si badi bene, non si invoca certo la censura bacchettona e ottusa, ma classe, eleganza e stile sono tutt’altra cosa. Buona proporzione di satira e musica, attenzione alla validità degli esecutori, e via discorrendo.
Ma il risultato negativo è stata che questo stile “casereccio” e di poco spessore dalla televisione si è trasferito al teatro: il negativo, si sa, è più facile da esportare del positivo, perché costa meno fatica e accontenta un po’ tutti… e perciò si sono visti spesso, troppo spesso, anche in teatro, pseudo-varietà rabberciati e improvvisati, con un cantante che si esibisce con la base rigorosamente registrata, con quattro “sgallettate” che si dimenano, battute becere e scontate.
Si segnala perciò volentieri lo spettacolo in scena al Teatro Sistina di Roma “Varie-età” con Massimo Lopez. Già il titolo evidenzia la trama: un viaggio nelle varie età appunto dello spettacolo che hanno saputo consegnare tracce indelebili nella memoria collettiva, acutamente rivisitate in un excursus musicale dove jazz e swing, generi musicali che ben si adattano alla voce e allo stile interpretativo di Lopez, rappresentano una sequenza di evergreen americani ed italiani dagli anni ’30 ai giorni nostri. I brani musicali sono accompagnati dalla Big Band Jazz Company, diretta da Gabriele Comeglio, e suggellati da una coppia di ballerini, Manuela Scravaglieri (bravissima!) e Felice Lungo. Su tutto questo s’innesta la nota capacità di Lopez di intrattenimento del pubblico usando la sua veste di imitatore, che gli permette, coadiuvato dal simpatico attore Alessio Schiavo, di puntualizzare le anomalie della scena politica odierna, con battute vivaci e mai banali. E poi tanta musica, con brani celebri di personaggi del calibro di Eric Clapton, Nat King Cole, Frank Sinatra per arrivare anche a insolite citazioni musicali di jazzisti italiani come Lelio Luttazzi, Nicola Arigliano, eseguiti con uno stile a metà tra la cover e la propria interpretazione.
Insomma, si diceva, in principio era il varietà, e forse sta tornando.
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