VINCENZO SARDELLI | La radio a teatro? Si può fare. Storie noir trasformano la sala Pina Bausch dell’Elfo Puccini di Milano in uno studio radiofonico. Un evento spettacolare, che mostra agli spettatori i segreti e la bellezza di seguire dal vivo la registrazione di un racconto radiofonico. Il progetto “Autorevole” esplora nuovi linguaggi e contaminazioni – radio, teatro, internet – sulle tante sfumature del genere giallo.
In una società dominata dal visibile puntare sulla sonorizzazione, in un luogo come il teatro, è una sfida coraggiosa. Sfida lanciata da molti personaggi: Sergio Ferrentino, mente del progetto, voce storica di Radio Popolare e docente di tecniche di narrazione radiofonica allo Iulm; scrittori famosi come Carlo Lucarelli, Elisabetta Bucciarelli, Massimo Carlotto, Andrea Bajani, Pino Corrias e Sandrone Dazieri. Essi hanno trasposto storie inedite in audiodrammi, registrati per essere pubblicati sul sito www.fonderiamercury.it in forma di podcast e in cofanetti editi da Feltrinelli.
Audiodramma, Webdramma, o semplicemente radiodramma. Ogni definizione ha la sua legittimità. Questo tipo di registrazione segue un’altra strada rispetto agli spettacoli egemoni. Non propone immagini già confezionate, come al cinema o in televisione o a teatro stesso. Fa leva sulla fantasia dello spettatore. S’appella alla sua capacità di sognare ad occhi aperti. Contrasta l’egemonia dell’immagine attraverso la forza dell’immaginazione.
Un’idea innovativa, ma non troppo. In fondo, il radiodramma è nato proprio con il teatro. Nel 1938 Orson Welles trasmise lo sceneggiato radiofonico «La guerra dei mondi». La sua compagnia Mercury Theatre, recitò negli studi della CBS. Creò la più famosa trasmissione mai realizzata. Gli Stati Uniti precipitarono nel panico credendo a un’invasione aliena. La fusione tra teatro e radio entrò nella storia.
“Autorevole” ripropone questo connubio. Silenzio. Gli spettatori indossano le cuffie. I narratori entrano. Sembrano voci esterne alla vicenda. La musica pare un commento ironico. Poi parole e musica convergono. Diventano amalgama emotivo. Narratori e pubblico sono risucchiati nella vicenda. È ipnotizzante.
È un pubblico “diverso”. Viene meno il patto implicito tra attori e spettatori. Siamo abituati a un pubblico protagonista dell’opera insieme al regista e ai teatranti: un connubio di emozioni, sguardi, empatia, atmosfere, applausi, risate. Qui no. Qui è un rito religioso. Lo spettatore tace. Niente applausi, se non alla fine della rappresentazione. Nessuna risata o esclamazione. Nessun commento o mormorio o colpo di tosse o naso soffiato: sarebbe immortalato dalla registrazione destinata al web.
Gli attori. Quello che si vede è spesso contraddittorio rispetto alla narrazione: personaggi che salutano e non se ne vanno; schiaffi e pugni che fanno un male boia ma non raggiungono il bersaglio; bicchieri di whisky bevuti senza essere consumati; capogiri da sbronza per tassi alcolemici degni di un astemio. È un crescendo di ritmi, suoni, emozioni. Volume sonoro e ricchezza timbrica sorprendono rispetto alle persone davvero presenti sulla scena.
L’atmosfera rapisce. L’ascolto è mistico. Il commento sonoro esiste, ma è dato dalla base acustica di sottofondo al recitare degli attori. Questi, oltre a modulare la voce secondo le regole della miglior arte drammatica, riproducono con vari accorgimenti suoni di sottofondo: rumore di passi, colpi di tosse, fruscio di fogli, parlare confuso di una folla melting pot. Parolacce, grida, gemiti.
Le corde vocali sono sfruttate in ogni dimensione timbrica e tonale. Voci felpate e vellutate. Toni aggressivi. Richiami di bambini. Accenti stranieri. Comandi secchi. Moine, sospiri. Respiri, sbadigli, singhiozzi. Urla scomposte, diktat perentori. Oltre a questo, spinte, con conseguente perdita di equilibrio anche nel parlare. Bottiglie stappate, tintinnio di ghiaccio, mulinello di cucchiaini, tonfo di liquidi nei bicchieri nella preparazione di cocktail. Rombo di automobili, in movimento, sullo sfondo.
I volti degli attori oscillano alla ricerca della giusta distanza dal microfono. È una sinestesia di suoni e colori, di parole che prendono consistenza e diventano carne, si materializzano in tratti somatici, smorfie, capelli arruffati o perfettamente in ordine, visi deliziosi, facce sfatte. Persino odori.
Dove finisce la parola inizia la fantasia. Il pubblico è inghiottito in un ovattato viaggio alternativo. Per un’ora, l’arte vince sul caos e sulle tensioni del mondo reale.
Raccomandazioni di rito prima dello spettacolo:
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=NYYNfXzcIb4&w=560&h=315]
Un’idea di quello cui si assiste durante lo spettacolo: il demo di “Radiogiallo” di Carlo Lucarelli
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Impressioni del pubblico dopo “L’etica del parcheggio abusivo” di Elisabetta Bucciarelli
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