LA_MODESTIABRUNA MONACO | Quattro eccellenti attori. Otto personaggi intriganti. Due storie parallele e un testo lungo e controverso. Sono questi i numeri vincenti de La modestia di Rafael Spregelburd diretto da Luca Ronconi e in scena al Teatro Argentina dal 9 al 14 aprile.
La modestia è la terza parte di una “eptalogia”, sette opere sulla dissolutezza contemporanea. Una per ogni peccato capitale. L’imponente opera morale di Spregelburd si ispira ai dipinti medievali di Bosch che rappresentò i sette vizi condannati dalla chiesa. Il punto di vista del drammaturgo, regista e attore argentino però modifica non poco l’oggetto osservato e nell’attualizzarsi i vizi si trasfigurano. La lussuria diventa L’inappetenza. L’invidia, La stravaganza. La modestia prende il posto della superbia. La stupidità sta per l’avarizia. Il panico, per l’accidia, La paranoia sostituisce la gola. La cocciutaggine, l’ira.
Una commedia “enigmatica o ironica”, la definisce Luca Ronconi, “a seconda dell’occhio con cui lo spettatore sceglie di vederla”. Ma si potrebbe dire una commedia ironica e enigmatica, a seconda che si voglia descrivere una o l’altra delle due vicende che scorrono parallele al livello del racconto, non si incontrano mai. Eppure si intrecciano al livello registico-drammaturgico perché le scene si inseguono in un montaggio alternato che diventa chiaro solo dopo un po’.
Enigmatica, dicevamo, è certamente la storia ambientata a cavallo di due appartamenti di un condominio argentino: personaggi ambigui, traffichini, tengono nascosta la natura della relazione che li lega, nonché delle attività, senza dubbio illecite, che svolgono. Quattro personaggi sono in scena ma altri gravitano intorno a loro: un numero imprecisato di individui nominati, attesi, protagonisti non dell’azione ma dei discorsi e pensieri dei nostri personaggi. Probabilmente artefici o complici di ciò che si sta macchinando ma non è dato sapere, e non lo sarà neppure alla fine.
Tragicamente ironico l’episodio russo che mostra la desolante umiliazione di uomo dalle insoddisfatte velleità di scrittore, ridotto in fin di vita dalla tubercolosi e dalla povertà. È la povertà che induce sua moglie a mentire, a spacciare e vendere con la firma del marito l’inizio di un manoscritto all’apparenza geniale, composto (forse) dal defunto padre di lei. Ma l’aspirante scrittore, di genio non ne ha, e forse neppure talento se non riesce ad aggiungere una parola a quelle appassionanti e già scritte. Gli acquirenti non sono ricchi editori ma poveri rifugiati, con qualche soldo e poche prospettive, che vedono nel manoscritto e nel suo presunto autore la possibilità di riscatto delle loro miserabili vite.
Francesca Ciocchetti, Maria Paiato, Paolo Pietrobon, Fausto Russo Alesi, egregi sempre, entrano ed escono dai personaggi con fluidità ingenerando una piacevole confusione nello spettatore che arriva a immaginare la diade di personaggi incarnati da ogni attore come i due contrastanti aspetti della personalità di un medesimo personaggio, piuttosto che come due esseri autonomi. Così ad esempio, Francesca Ciocchetti è allo stesso tempo Ángeles e Anja Terezovna. Paolo Pietrobon, Arturo e Smederovo. La regia di Luca Ronconi favorisce con vari mezzi questa confusione: gli attori non cambiano di abito, né cambia l’ambientazione: pareti verdi, divano e credenza nella stanza sudamericana come in quella europea. E talvolta nell’inizio della scena della nuova storia gli attori si comportano come fossero i personaggi della vecchia. Così La modestia parla anche della perdita dell’identità degli individui, della difficoltà a mantenersi granitici in epoca contemporanea, in cui tra precariato e crisi siamo tutti chiamati a riciclarci e a cambiare senza sosta ruolo e posizione di fronte agli altri. La distanza tra la chiarezza d’esposizione della storia russa e l’opacità di quella argentina, troppo marcata per non essere significante, può forse inserirsi in questo discorso: la perdita dell’identità è anche affare narrativo, non c’è un unico modo di essere storia. Spregelburd ce ne mostra almeno due.
Ma ci sarebbe il tema ad accomunare le vicende, la modestia, che dà il titolo alla pièce. Anche questo subito visibile nella vicenda russa, è sfuggente in quella argentina. Assodato che per Spregelburd la modestia non è la qualità di chi non ama mettere in mostra i propri meriti e cerca di sminuirli perché cosciente dei propri limiti o perché, timidamente, teme la lode. La modestia non è una virtù ma un vizio, una declinazione della menzogna. Infatti, nessuno dei personaggi di questo spettacolo modesto lo è realmente. Non lo è lo scrittore Terzov, non sua moglie, non lo erano Arturo, Ángeles e gli altri da giovani, quando si proclamavano comunisti (situazione evocata in uno dei momenti più esilaranti dello spettacolo quando gli amici argentini, sotto effetto di droga ridono e ricordano il passato). Tutti, al più, sono bugiardi, o sono stati ipocriti. Ciò che davvero accomuna le due storie, il vero motore delle azioni, a ben vedere, è la miseria. L’obiettivo di tutti, questo sì chiaro in entrambe le storie, è arricchirsi. Per sopravvivere gli uni, per vivere meglio gli altri. Così la miseria non è solo un dato economico, oggettivo, ma anche morale: miseri sono i rifugiati in URSS e i truffatori argentini. Miseri gli spiriti di questi eroi piccoli piccoli. Misere le nostre vite nel mare in tempesta della società liquida.

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