LAURA NOVELLI | Un inno alla bontà. Quella vera, nobile, spiazzante. Una bontà che in parte somiglia alla pietas di virgiliana memoria e in parte evoca un disincanto tutto infantile. Un inno alla solidarietà, alla fantasia, alla poesia della vita, alla speranza tenace in un futuro migliore. Parrebbe navigare controcorrente il senso di uno spettacolo come “Miracolo in città” che Roberto Gandini ha presentato nei giorni scorsi all’Argentina di Roma come esperienza conclusiva del Laboratorio Integrato Piero Gabrielli portando in scena diciannove ragazzi, alcuni con disabilità, coinvolti in allestimento vivace, lieve, corale, divertente, dove l’essere “insieme” non costituisce solo un valore tematico ma rappresenta il nocciolo duro di un percorso basato in ogni suo aspetto sulla condivisione e l’inclusione.
Parrebbe navigare controcorrente perché, traendo ispirazione dal celebre libro “Totò il buono” di Zavattini (qui riadattato da Attilio Marangon) e, ancor più, dal film “Miracolo a Milano” che De Sica girò nel ’51 su sceneggiatura dello stesso Zavattini, il lavoro regala al pubblico una favola moderna che racconta la bellezza del dare, l’armonia di un gruppo di folli poveri sognatori idealisti, non privi di quella ingenuità infantile capace di scalare le montagne più ardue, costretti a combattere contro l’arroganza di un potere meschino e avido, convinto di poter comprare uomini e donne con la stessa facilità con cui compra terreni e giacimenti di gas.
A capeggiare questa congrega di disgraziati c’è ovviamente Totò, il protagonista: un giovane perbene e privo di ogni malizia che si affaccia alla vita dopo anni di reclusione in orfanatrofio con la docile magnanimità di un angelo. La sua bontà potrebbe essere presa per stupidità e oggi un giovane come lui rischierebbe certamente di essere vilipeso, ghettizzato, considerato un idiota. E invece Totò, sorriso sempre pronto e piena fiducia nel prossimo, è un vincente. Un personaggio grande, lirico, fuori dagli schemi. La magia di cui serve per risolvere la difficile situazione in cui si trovano lui e i suoi amici è una magia tenera, perché ha a che fare con gli affetti (in particolare con una “pragmatica” mamma defunta che scende ogni tanto dal Paradiso per dargli un cavolo magico in grado di far esaudire i desideri di chiunque), con la trascendenza, i sogni, la libertà, l’altruismo. Ma la forza dello spettacolo sta nel maneggiare questi sentimenti – e dunque le figure che li incarnano – con ironia e leggerezza, lontano da qualsiasi nota patetica o buonista.
D’altronde al Laboratorio Gabrielli si lavora da sempre così. Nato nel ’94, sostenuto dal Teatro di Roma in sinergia con il Comune e con l’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio, oggi questa realtà d’eccellenza nel quadro della pedagogia teatrale italiana conta 18 laboratori pilota e 197 laboratori decentrati. In quasi vent’anni di attività e di progressiva irradiazione nel tessuto scolastico romano, ha realizzato 130 spettacoli e 399 repliche (per un totale di 132.279 spettatori), documentando messinscene e backstage in ben 47 video ( www.pierogabriellinellescuole.it; rimandiamo anche a un nostro precedente contributo intitolato “Allenare le emozioni tra scuola e teatro: www.paneacqua.info/2012/07).
A fronte di questa robusta lista di numeri, Gandini e gli operatori che lo affiancano hanno sempre saputo modulare il “viaggio” formativo ed artistico intrapreso con i ragazzi secondo parametri di semplice, spontanea e giocosa umanità: studenti di varie età e varie scuole, diversamente abili e non, attraversano insieme l’energia del teatro e diventano attori (alcuni componenti del cast di “Miracolo in città” recitano da tempo, mentre altri sono al loro debutto), si allenano ad ascoltare le loro emozioni, i loro corpi, riempiono ciascuno i vuoti dell’altro. Alla fine, sul palcoscenico, sono tutti semplicemente interpreti di una storia che va oltre i limiti o i talenti individuali per restituire una finzione mai posticcia né mai auto-celebrativa. Teatro punto e basta.
Anche questo ultimo lavoro, assai legato alle suggestioni che i giovani interpreti hanno elaborato dalla visione del film di De Sica (pellicola che, accolta con freddezza nel nostro Paese ma pluripremiata all’estero, è stata di recente restaurata) e dal meno noto “Dedes’Ka-Den” di Kurosawa (primo film a colori del maestro giapponese , anch’esso incentrato su una storia di marginalità e degrado sociali), è teatro di altissimo livello, arricchito da musiche dal vivo di Roberto Gori (e cantano tutti molto bene), scenografie naïf e praticabili di Paolo Ferrari , costumi fantasiosi di Loredana Spadoni. Elementi nevralgici nella costruzione di un ritmo baldanzoso, allegro, persino scanzonato, che sarà tuttavia l’epilogo a convertire in una “conciliazione” giocoforza lirica e surreale: proprio come nel film di De Sica, i protagonisti prenderanno il volo sopra la città per inseguire il loro sogno di giustizia. A dimostrazione che c’è sempre una via di fuga possibile. Un’utopia per cui vale la pena combattere. Un obiettivo che si può raggiungere a furia di colpi di fantasia e altruismo. Ingenuità disarmante? Forse. Ma anche un messaggio chiaro che vuole aprire uno spiraglio di sollievo in questi terribili tempi di crisi in cui stiamo soffocando. Tempi in cui per paradosso un’arte “vecchia” e in fondo semplice come il teatro può davvero educarci – e rieducarci – all’umanità.
Foto Francesca Galvagno
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Roberto Gandini regista di Miracolo in città.
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