filo2NICOLA ARRIGONI | «Mi chiedete tutto ciò che è idiosincrasia presso i filosofi? … Per esempio la loro mancanza di senso storico, il loro odio contro la rappresentazione stessa del divenire, il loro egitticismo. Credono di fare onore a una cosa destoricizzandola, sub specie aeterni, – facendone una mummia. Tutto ciò che i filosofi hanno maneggiato da millenni erano concetti-mummia; dalle loro mani non è uscito vivo niente di reale». Così scrive Friedrich Nietzsche nel Crepuscolo degli idoli, recentemente pubblicato da Carocci editore con l’introduzione, traduzione e commento di Pietro Gori e Chiara Piazzesi (pagine 278, 19 euro). E iniziare con il j’accuse del filosofo è un iniziare vertiginoso che mette in media res ad una riflessione legata alla filosofia che è attuale e storica, necessaria e di moda, che è accademica come popolare.

Mai come in questi anni la filosofia e soprattutto i filosofi – la distinzione non è casuale – riempiono le piazze, trovano spazio sui giornali, fanno da bussola prêt à porter dell’uomo contemporaneo, adeguatamente disorientato e in cerca di qualche bandolo della matassa che lo «immetta in una mezza verità», per dirla con Eugenio Montale. E proprio dal successo dei filosofi – più che della filosofia – forse bisogna partire. Dal filosofo, dalla sua epifania si attendono verità, indicazioni, un senso possibile al nostro vivere, il filosofo è oggi più che mai intermediario, è il facilitatore di pensiero prima che portatore ed autore di una pensiero originale, è oracolo a cui ci si rivolge per trovare risposte a domande senza possibilità di soluzione. Se i filosofi sono oggi protagonisti nelle piazze e nei salotti buoni, anche quelli della televisione, non è così per la filosofia, quando si fa scrittura, riflessione sulla contemporaneità, filosofia che nel suo argomentare rimane questione accademica; anche se non mancano occasioni editoriali che cercano di declinare il sapere filosofico nella direzione dell’essai francese; si pensi a Michela Marzano. Detto questo, che si tratti di filosofi messi in piazza o di una nuova attenzione alla filosofia in ambito accademico, sta di fatto che la disciplina data per morta e storicizzata sembra vivere una rinnovata vivacità e non solo perché da vent’anni o più c’è chi tenta – soprattutto nelle università – di spacciarla come il valore aggiunto per l’ingresso nel mondo del lavoro, nelle aziende, magari in quei posti chiave della selezione del personale, oggi più che mai in crisi… Sfumata la possibilità di essere strumento occupazionale, la filosofia oggi si fa terapia, ovvero appiglio per cercare di capire il presente e la realtà, proprio mentre media e newmedia la realtà la fotografano, la documentano in presa diretta.

Ma quale è lo stato dell’arte, ovvero quale lo stato di salute della filosofia. A documentare tutto ciò è il volume Filosofia contemporanea. Uno sguardo globale, a cura di Tiziana Andina con la prefazione di Maurizio Ferraris (Carocci editore, pagine 426, 29 euro). E proprio Ferraris sottolinea come solo venticinque anni fa alla parola filosofia si sarebbe affiancata una sicura condanna a morte, con l’unica attenuante possibile della storia della filosofia come disciplina didattica, oggi in realtà «le discipline filosofiche hanno rilevato una vitalità insospettata di fronte alle  trasformazioni  della società post-industriale, dall’informatica alla bioetica passando per le scienze cognitive». E così partendo dalla morte della filosofia – a vario titolo denunciata da più parti – il volume procede per ambiti di ricerca: metafisica e ontologia, epistemologia, linguaggio, mente, scienza, logica e matematica, etica, politica ed estetica. In questo contesto «la ragione della riflessione filosofica si pone come quello spazio logico e concettuale in cui si articolano le relazioni tra il soggetto e il mondo da un lato, e dei soggetti fra loro, dall’altro. Qui gli esseri umani articolano rappresentazioni di loro stessi e del mondo con cui hanno a che fare, inventano linguaggi che consentono di condividere e manipolare quelle rappresentazioni, immaginano mondi possibili e una vastissima serie di controfattuali per metterli alla prova», scrive Tiziana Andina. In questa direzione va l’auspicata nuova sintesi della rinata attenzione al ‘realismo’ – come ribadisce Maurizio Ferraris scrivendo: «c’è un nocciolo solido di realtà, che dà senso ai nostri concetti e rispetto al quale la filosofia, non diversamente da qualunque altro sapere, può dare risposte. (…). La realtà costituisce uno sfondo condiviso per le nostre teorie, ed è un errore confondere la varietà dei sistemi di misura e degli schemi concettuali con ciò a cui si riferiscono. In questo quadro l’aspetto decisivo è tracciare una distinzione tra quello che c’è (ed è l’ontologia) e quello che sappiamo a proposito di quello che c’è (ed è l’epistemologia)».

In questo scarto fra ciò che è e ciò che sappiamo dell’esistente c’è forse – con gusto ossimorico – la risposta all’interrogativo del perché l’uomo si ostini a filosofare. A cercare una risposta è Jean-François Lyotard di cui Raffaello Cortina Editore raccoglie nella collana Minima alcune conferenze sotto il titolo complessivo: Perché la filosofia è necessaria (pagine 88, euro 9,50). Mancanza freudiana, desiderio lacaniano sono alcuni dei riferimenti che Lyotard utilizza per spiegare il perché ogni filosofo cominci la sua ricerca dalla domanda perché fare filosofia, ogni volta un nuovo inizio, ogni volta il tentativo di costruire un nuovo mondo in cui abitare, o semplicemente la chiave per aprirci la porta della realtà. In questo senso «la lezione inaugurale dei filosofi, che si ripete eternamente, ha una certa somiglianza con un atto mancato. La filosofia manca a se stessa, è fuori posto; andiamo alla sua ricerca partendo da zero, continuamente la dimentichiamo, dimentichiamo il suo posto. Essa appare e scompare; si occulta». In questo emergere e inabissarsi c’è la necessità e la persistenza stessa del filosofare nel dispiegamento di una storia in cui la connessione fra realtà e il senso sfugge sempre e sempre si cerca per poi perdersi di nuovo – osserva Corinne Enaudeau nella Presentazione – (…). Poiché il mondo sconfina su di noi, la parola può sconfinare su di esso esprimendolo e, l’azione trasformandolo. Si filosofa perché si è esposti al mondo e si ha ‘la responsabilità di nominare ciò che deve essere detto o fatto’». Ecco allora che filosofare e la filosofia sono necessarie perché portano, elaborano la parola ubertosa che nomina e cerca di colmare la mancanza, il debito che abbiamo nei confronti del nostro essere al mondo, la mancanza che ci fa chiedere perché il mondo è mondo, quando ha avuto inizio, se ci sarà una fine… Questo desiderio è interpretare il messaggio delle stelle che brillano dentro di noi…

Friedrich Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, Introduzione, traduzione e commento di Pietro Gori e Chiara Piazzesi, Carocci editore, pagine 278, 19 euro
Filosofia contemporanea. Uno sguardo globale, a cura di Tiziana Andina, Carocci editore, pagine 426, 29 euro.
Jean-François Lyotard, Perché la filosofia è necessaria Raffaello Cortina Editore, pagine 88, euro 9,50

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