pirrotta MARIA PIA MONTEDURO | La forza della parola, dell’esposizione pre-letteraria, del racconto, del cunto, la narrazione antica che è giusto far risalire ad Omero e agli aedi. La cultura che Vincenzo Pirrotta, autore, attore e regista siciliano ha respirato assieme al suo ricchissimo dialetto palermitano, è una cultura antica, piena di suggestioni vocali e parlate, urlate se necessario, frutto di una tradizione che Pirrotta vuole coraggiosamente conservare e tramandare, e ci riesce. “Dietro la collina” – spettacolo inserito nella stagione “a quattro mani” intitolata Dominio Pubblico, con la quale quest’anno a Roma il Teatro Argot Studio e il Teatro Orologio hanno iniziato intelligentemente a collaborare – è un omaggio intimo alle proprie radici e, insieme, un omaggio civile alla straordinaria figura di Pier Paolo Pasolini, qui rappresentato come simbolo e segno di coscienza civica ed etica, insostituibile mentore nella traversata della vita. Pirrotta si è formato con Mimmo Cuticchio e alla scuola dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico e queste due coordinate guidano il suo teatro: la straordinaria tradizione del cunto e dei cantastorie, dei pupari e delle feste di paese, insieme a una forte connotazione colta e di ampia e approfondita conoscenza del mondo classico, con i suoi miti e la sua straordinaria attualità.
Pirotta racconta di se stesso bambino prima, adolescente poi, che scopre, grazie al carisma del nonno comunista, la potenza e la forza eversiva della cultura, intesa come possibilità di guardare al di fuori dei propri orizzonti, di volare oltre gli steccati di un piccolo paese di provincia (ma in tal senso tutta l’Italia diventa provincia). Ossessionato da quello che gli veniva detto in famiglia e in paese quando voleva prendere decisioni autonome rispetto agli standard diffusi (“Andrai all’inferno”) il giovane Pirrotta, sulla scia di esempi ben noti e illustri, inizia a fare il classico viaggio negli inferi e scopre, con sconfinato piacere, che lo accompagna Pier Paolo Pasolini. Di quest’autore in casa non si poteva parlare, ma il nonno, quasi di nascosto, ne leggeva avidamente i libri, lasciati poi in eredità al nipote, affinché potesse essere anche lui instradato sulla via della coscienza di sé e del mondo da cambiare.
“All’ombra della collina” è una produzione presentata a Roma per la prima volta al Teatro Argot, pur se non è un testo recente. È lo stesso Pirrotta a far notare come questo testo, scritto e recitato in strettissimo dialetto di Partinico, sia di difficile rappresentabilità, riportando anche il giudizio che anni fa Franco Quadri aveva espresso sul testo, pur dandone un giudizio positivo. Perché l’autore ci mette proprio di tutto: quattro cinque cori con rispettive corifee, cambi di fondale, personaggi che affollano il palcoscenico. Ma la magia dello spettacolo, della grande narrazione appunto, consiste nel fatto che di tutto ciò lo spettatore è informato dallo stesso attore che cambiando voce, tono, modalità d’emissione del suono, mimica, postura eccetera, diventa coro, fondale; egli parla come Pirrotta ragazzo e come Pasolini, senza stancare o far distrarre lo spettatore che è soggiogato dalla magia di un suono e di un corpo che sa essere la voce melliflua di un pretino, voce tonante del nonno, voce convincente del poeta friulano, voce curiosa del giovane protagonista. Ma anche fisicità della campagna palermitana prima e dell’inferno poi, della cantina in cui sono nascosti i libri di Pasolini e della piazza del paese con il bar, da cui i borghesucci del luogo sentenziavano, con arrogante supponenza, che il ragazzino Vincenzo Pirrotta, continuando nella sua fissazione di voler fare teatro, sarebbe sicuramente “finito all’inferno”…
Per saperne di più:
www.dominiopubblicoteatro.it
www.vincenzopirrotta.it

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