teatri_alchemici_DesideranzaRENZO FRANCABANDERA | Sta per passare la processione del santo di paese. Quale momento migliore per buttarsi dal balcone del quinto piano del palazzo dove due fratelli, uno portatore di un grave handicap fisico e mentale, l’altro, di fatto, divenuto schiavo dell’assistenza all’altro essere umano, oramai reietti dal consesso civile e rifugiati in questo appartamento spoglio e senza mobilia, passano gli ultimi 50 minuti di vita?
Pino e Sergio (Luigi Di Gangi e Ugo Giacomazzi), complice la malattia della madre, vivono in uno stato di miseria umana prima  ancora che materiale, da cui decidono di fuggire assieme.
Lo spettacolo fu finalista nel 2007 al Premio Scenario con Babilonia Teatri e Pathosformel. Vinceranno i Babilonia. Ma lo spettacolo ottiene menzione. I due interpreti lo ripropongono allo spazio Tertulliano di Milano, in questi giorni di micro tournèe in giro per il Nord Italia.

Alla fine di questo spettacolo arrivano tre pensieri, due sulla creazione scenica e uno, diciamo, riepilogativo:
Il primo pensiero è che pare abbastanza chiaro, voluto o non voluto, il rimando che passa nella testa a Il festino, lavoro di Emma Dante, pure datato 2007, e interpretato da Gaetano Bruno ma poi non più riproposto dopo la fine del sodalizio fra l’attore e la regista. Era la storia sotto forma di monologo di un trentanovenne handicappato, isolato e relegato in uno stanzino buio a giocare con le scope, nel giorno della festa del suo compleanno, e di suo fratello, cui lo stesso Bruno con grandissima abilità dava corpo. Finale ugualmente tragico.
Dal punto di  vista drammaturgico, quindi, anche se la variazione sul tema di Desideranza e la presenza di due attori in scena pone chiaramente l’accento su questioni sceniche diverse, resta il dubbio di chi abbia ispirato chi. Magari è al contrario di come verrebbe da pensare. O magari è davvero una di quelle assurde combinazioni in cui Bell e Meucci scoprono la stessa cosa ognuno a casa sua nello stesso momento. Chissà.

Il secondo punto riguarda sempre il testo. Di fatto pur sull’orizzonte temporale dei 50 minuti, il piccolo ma cardinale vizio, a nostro modesto avviso, del lavoro risiede nel fatto che mentre la prima parte è entusiasmante, ricorre ad una parola straniante e capace di riempirsi e svuotarsi di senso all’occorrenza, la seconda parte purtroppo si siede su una cifra più didascalica e consumata, lasciando l’aereo in volo senza il carburante propulsore di qualità e il rischio di vuoti d’aria e depressurizzazioni, se loro non sono al massimo, esiste. La figura del terzo personaggio assente, la madre, è troppo poco abbozzata e quindi a conti fatti irrilevante per le dinamiche sceniche e narrative. Arriva al momento giusto ma forse non riesce a rifornire l’aereo in volo.

Dal che, riflettiamo che trattasi di lavoro onesto, con i due interpreti bravi e generosi, semplice, evocativo, con alcune buone idee che appartengono ad una modalità narrativa che pur mostrando la sua cifra anagrafica, riesce ancora a parlare con efficacia ad un pubblico sensibile. D’altro canto rileviamo parimenti che Desideranza è artigianalmente imperfetto, che in questi anni non è cambiato come il ritratto di Dorian Gray, ma è rimasto lì, fermo coi suoi anni. Le evoluzioni artistiche che di lì sono seguite sono nella proposta dei nostri giorni della compagnia, di cui pure ci siamo occupati su PAC di recente. Crescere non è facile, l’equilibrio fra comicità e umorismo difficile da calibrare, e la sfida del sodalizio artistico avrebbe forse più strada non necessariamente nella direzione di una contemporanea surrealtà che rischia di avvicinare la macchietta e di schiacciare l’esperimento su se stesso, ma verso piuttosto un tentativo più radicale di discussione dei paradigmi creativi, allontanandosi anche dal sentimento drammaturgico un po’ “regionale” che da Scimone-Sframeli, Vetrano-Randisi, ha già gli interpreti di un codice che si sta “facendo vecchio”.
D’altronde l’esito del Premio Scenario 2007 è lì a ricordarcelo: la sfida del teatro è quella di una creatività in movimento, che ridiscuta le parole, le storie e finanche la presenza dell’attore in scena, proponendo qualcosa che ancora sia capace di stupire e far gridare al miracolo. Resta il fatto che, comunque, il 2007 fu un’ottima annata.

1 COMMENT

  1. L’ho visto ieri sera, mi ritrovo in quello che scrivi. Resta il fatto anche che qui il tema della disabilità è trattato con cognizione di causa, umanità e un realismo magico molto vicino alla poesia, tra urina e acqua santa, merda e stelle. E invece lo spettacolo che sempre al Tertulliano ha preceduto questo, “Chi ha paura delle badanti” di Giuseppe Massa, sfiorava il tema con una superficialità e un pressappochismo che io personalmente ho trovato quasi irriverenti.

Comments are closed.