UnknownRENZO FRANCABANDERA – ELENA SCOLARI | ES: Hai capito che bel Peppino Impastato abbiamo visto? E fammi dire, per una volta, qualcosa di superficiale! Proprio un bell’attore Stefano Annoni. Eravamo in prima fila, l’ho visto bene. E siccome è pure piuttosto bravo sono già contenta. Ti spiace?
RF: No no, figuriamoci. Ho visto che la storia, il dramma dell’uomo Impastato, ti ha soggiogato. Ho visto con quanta attenzione lo guardavi recitare. Di fronte e di schiena… Mai voltare le spalle alla legalità!
ES: Il rischio della retorica quando si parla di mafia è sempre in agguato, ma mi pare che stavolta l’abbiano ben aggirato. Impastato era un coraggioso sfacciato e in teatro il personaggio ne guadagna.
RF: Stiamo parlando di AUT – un viaggio con Peppino Impastato, produzione ArteVOX e Linguaggicreativi, spettacolo ispirato e di fatto per larga parte ricavato dagli scritti di Impastato, progetto di Stefano Annoni, Marta Galli, Roberto Rampi e Paolo Trotti, interpretato dal primo con la regia dell’ultimo.
ES: La regia che appunto sceglie di far raccontare la sua vita a lui medesimo, come se la vedesse scorrere dal finestrino di un treno, idea che ci piace, anche per il tu-tum ripetuto delle rotaie: un ritmo ferroviario “accelerato” per un’esistenza che va di corsa. E finisce per schiantarsi.
RF: Bello e dannato. Tipo James Dean. Che un po’ l’attore ricorda…E poi qualche espediente scenico con il gioco delle ombre, tra l’altro bello deciso, con immagini e parole che difficilmente 25 anni fa sarebbero state ospitate in un teatro di chiesa come quello che ospita la replica, il Teatro Arca con la collaborazione artistica del Teatro della Cooperativa. Potenza bergogliesca? O forza cooperativa? Comunque sia una bella prova di ecumenismo. La chiesa di oggi sta davanti. A certa bacchettonaggine sicuramente.
ES: Personalmente avrei preferito un minor uso di ammennicoli di richiamo circense e western, che mi hanno ricordato un po’ il look di Rino Gaetano e un po’ le parodie facili… Non tanto per il circo o il western in sé, ma perché credo che una delle due metafore sarebbe stata sufficiente per descrivere il paesello Cinisi e le sue gerarchie di potere criminale.
Molto va letto in chiave simbolica, come direbbe un buon critico: Annoni ha imparato anche un buon accento siciliano e ci cala credibilmente in un territorio dove le faide si combattono anche nelle vie centrali del paese, quelle lunghe strade con il saloon dove ci si sfida, il bordello dove si balla e ci si può anche innamorare, e la piazza per i duelli. Arroganze ed eroismi. Manca il mare. Quello nel west non c’è.
RF: LO specifico scenico dello spettacolo, quello che la regia aggiunge alla parola di Impastato, è di fatto un impianto di narrazione dove qui e lì scorrono apprezzabili idee per dare ritmo, idee nel complesso positive e ben pensate, mai lunghe e in generale non pretenziose. La drammaturgia rispetta Impastato, il suo percorso di vita.
ES: Dobbiamo dire qualcosa della radio di Impastato, non credi? Eh, sta pure nel titolo dello spettacolo. Radio AUT come autonomia, dice il testo, ma anche come AUTentico strumento di libertà, una voce OUT nel senso di fuori dal coro, ecco, forse la centralità della radio come scelta di lotta da parte di Peppino e dei suoi poteva essere ancora più presente, cosa ne pensi?
RF: Non so, per un verso l’avrei capito, ma sarebbe stato anche scontato. Così è un’altra storia, ed è giusto fosse così. Anche perché di fatto racconta anche in maniera un po’ onirica, nulla è schiacciato sul meramente cronachistico. Devo dire, ero un po’ prevenuto e invece mi sono dovuto nel complesso ricredere. Niente rivoluzioni, sia chiaro, ma un pulito lavoro di artigianato affidato ad un interprete con la faccia del ragazzino, ma all’altezza.
ES: Io la cronaca degli avvenimenti l’ho seguita abbastanza bene, mi è sembrata ben montata. Fino alla fine. Che per me doveva arrivare con la bella descrizione dell’esplosione fatta direttamente da Impastato, la vittima, che descrive – con la sordina – la sua morte “col botto”. Sai che io ho un po’ la mania dei finali ad effetto.
E invece la vocetta fuori campo del bambino che ci dice che cos’è un atteggiamento mafioso a scuola, no, nun ce la dovevano mette!
L’ultima battuta “E’ tutto, gente” con la pioggia di coriandoli dal cilindro? Un peccato.
RF: D’accordo al mille per cento. Mi è crollato mezzo gusto. Doveva finire cruda. Com’era, com’è stata. Senza intenti finto pedagogici e conigli dai cilindri che alla fine non escono. Il vero coniglio, giocato peraltro benissimo in quelle parole finali era l’esplosione. Lì lo spettacolo raggiunge il massimo. Dopo il piacere, il resto sono inutili chiacchiere. Meglio il silenzio. E il calore, o il freddo, delle grandi emozioni.
ES: E noi come finiamo? Al ristorante giappo per chiudere la serata nippo-sicula?
RF: Guarda, facciamo che se non vogliamo i finali posticci degli altri non ne mettiamo neanche noi negli articoli. Dove andiamo a mangiare, in fondo, sono fatti nostri. Andate a vedere questo spettacolo, se e quando vi capita.

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