COSIMA PAGANINI | Lo abbiamo visto tutti o quasi.
Tutti o quasi siamo andati a recuperare i vecchi libri di Witold Marian Gombrowicz. Chi dalle doppie file delle librerie di casa, chi dai remainder. Tutti o quasi abbiamo detto come è intelligente questo autore che qualcuno di noi, più vecchio, aveva forse letto, ma poi, chissà come mai, dimenticato.
Era necessario che Luca Ronconi mettesse in scena Pornografia?
Se il senso era riportare l’attenzione su un autore troppo facilmente ignorato, sì.
Il pubblico ha assistito ad uno spettacolo lussuoso (di quel lusso un po’ fané degli snob), con attori che entravano e uscivano dal loro ruolo secondo le indicazioni di un Luca Ronconi ormai più Martial Canterel (Locus Solus di Raymond Roussel) che regista. Gli spettatori hanno apprezzato, hanno riso, si sono auto compiaciuti e hanno dormito un poco (solo verso la fine della prima parte). Inoltre, si sono auto giustificati dell’ignavia in cui vivono e si sono meglio accomodati alla finestra con vista sulla catastrofe. Infine, hanno creduto di riconoscere in Riccardo Bini/Witold il regista stesso. Un uomo vinto dall’età, che ignora il dramma storico e spende le sue ultime energie per ottenere piccoli piaceri personali.
Ronconi è un grande creatore di Wunderkammer (anche Ingmar Bergman lo era, ma più grande e più tragico) abituato a ricevere la visita (inconcludente) e l’approvazione di persone (il pubblico) costruttrici a loro volta, ma dilettanti, di Wunderkammer. Chiodo fisso dell’ultimo Ronconi è di raccontare le sue ossessioni personali attraverso il linguaggio del teatro, che certo padroneggia benissimo (è inutile soffermarsi su quanto siano sempre perfetti i suoi spettacoli, i suoi attori, le sue macchine, ecc.), ma ci porta a considerare reale solo una minuscola porzione di realtà, la sua. Il teatro di Ronconi piace, ma non emoziona più, perché il dolore ne è stato espunto. Proprio quel dolore che Ronconi nella presentazione di Pornografia dice essere la terza dimensione del testo: “tempo, spazio e dolore”. Nello spettacolo Pornografia, invece, il dolore è solo una parola presente nel programma di sala. Ronconi ha studiato, sa che Gombrowicz pensa che “Il vero realismo rispetto alla vita è sapere che la cosa concreta, la vera realtà, è il dolore”. Qualche volta succede che a furia di ripeterla una cosa diventa vera, ma questa volta a Luca il mago il trucco non è riuscito: nessuna traccia di dolore. Forse non è riuscito perché Ronconi, che ha studiato, sa anche che Gombrowicz è ricordato come quello che riteneva che il Mondo fosse dominato dalla ‘forma’, nel senso deteriore del termine: un insieme di relazioni sociali che ci impone di usare una maschera (lo racconta benissimo il film Persona di Bergman) e ci spinge al conformismo. Per questo Gombrowicz era ‘paladino dell’antiforma’. Ronconi invece nella ‘forma’ c’è rimasto invischiato e rimane un ‘paladino della forma’. Ordina (organizza) un mondo oggettivo, e chiuso, una Wunderkammer appunto.
Pornografia di Gombrowicz è la drammatica registrazione dell’impotenza della coscienza ad arginare il caos da cui alla fine è travolta. Pornografia di Ronconi è la distaccata registrazione del tentativo della coscienza di ignorare il caos.
Ma dunque era proprio necessario che Luca Ronconi mettesse in scena Pornografia?
Visto il risultato, no.
Ma lo ha fatto e così mi sento autorizzata a considerare Pornografia un lascito, Ronconi ci consegna un mondo, un “Locus Solus”, abitato da ‘attori’ addestrati a reiterare un gesto, in fin dei conti inutile, fino all’uscita dell’ultimo spettatore dalla sala.
[…] Pornografia. La morte ti fa bella […]
Finalmente un pensiero limpido, impavido, non asservito a nessun influsso di sottomissione.