LAURA NOVELLI | Cercando punti luce mentre navigo curiosa nel mare faticosamente piatto del nostro teatro contemporaneo – e non alludo a punti luce di creatività quanto di politiche culturali e di progetti che siano, per l’appunto illuminati – brancolo a lungo nel buio. Poi scopro il programma della prossima Biennale Teatro di Venezia e mi sembra di intravedere, per restare nella metafora, un faro promettente verso cui dirigere la barca del pensiero con quel briciolo di ottimismo che mi resta (e che ci resta). D’altronde, già l’anno scorso la rassegna lagunare, diretta dal regista catalano Àlex Rigola, aveva avuto un ottimo riscontro sulla stampa e io stessa avevo seguito alcune delle iniziative in scaletta visionando spesso i materiali on line relativi a incontri e interviste con i protagonisti della manifestazione.
Quest’anno il percorso avviato nel 2013 prosegue e si arricchisce restando ancorato ad una formula vincente, Biennale College – Teatro, e a obiettivi sicuramente nobili, tanto più in un quadro generale desolante, con una crisi che attanaglia sempre più il sistema cultura nel nostro Paese. Vengo al cuore di ciò che credo risulti saliente: nel nuovo programma (con eventi dal 30 luglio al 10 agosto) si dà ampia enfasi alla “formazione di giovani artisti” (evviva!) e se ne affidano metodologie e prassi a maestri internazionali – drammaturghi, registi, scenografi, attori – per lo più quarantenni. Dunque, uno scambio artistico che tenta di diminuire la forbice generazionale tra discenti e docenti in un’ottica di “condivisione”, quasi a voler riposizionare la condivisione stessa al centro del fatto teatrale. Il contenitore delle manifestazioni e dell’intero progetto si articola specificatamente in otto workshop – luoghi simbolici oltre che fisici di questo scambio generazionale e formativo – e sei residenze in seno alle quali diverse compagnie giovani lavoreranno su progetti propri sempre con una filosofia di apertura verso altre realtà o personalità. A ciò si aggiunga il fatto che ogni singolo workshop trainerà una fase dimostrativa e finale fruibile dal pubblico presso diversi luoghi cittadini (tra gli altri, Teatro delle Tese, Piccolo Teatro Arsenale) mentre le residenze, anch’esse votate ad un approdo scenico, saranno ospitate nello spazio multifunzionale della Corderie dell’Arsenale, e dunque ancora un luogo simbolico e fisico dove il teatro è chiamato a condividere linguaggi, linee di ricerca, urgenze tematiche con altre arti (danza, cinema, musica architettura).
Mi sembra dunque che questa formula quanto mai eclettica e fluida rappresenti pressoché un unicum nel panorama dei festival estivi nazionali, molti dei quali annoverano sì nei loro cartelloni maestri internazionali e momenti formativo-labortoriali ma non così corposi ed eterogenei. Il legame tra percorso e approdo scenico rappresenta invece proprio il cuore della linea programmatica di Rigola, che ha chiamato a collaborare nomi interessanti della drammaturgia, regia, scenografia internazionali. Il regista lituano Oskaras Koršunovas lavorerà su “Il gabbiano” di Cechov (preso a pretesto per indagare domande fondamentali quali: chi sono gli attori, il regista? chi siamo noi stessi?); il drammaturgo tedesco Falk Richter affronterà il tema attualissimo dell’identità in “Heritage, Gender and Identity: a complex sense of belonging”; su Federico Garcia Lorca e sul suo nuovo modo di pensare il teatro si concentrerà il laboratorio condotto da Lluis Pasqual mentre Antonio Latella promette un affondo nelle dinamiche dell’amore e dello “strappo” (partendo da quello tra madre e figlio) condotto attraverso cinque grandi storie della letteratura trasformate scenicamente in duelli fisici tra attori, come se cioè “il duello desse forma organica alla parole”. E poi interessanti idee saranno sviluppate nelle sessioni condotte dall’attore autore e regista francese Fabrice Murgia (che il 4 agosto riceverà il Leone d’argento), dal noto drammaturgo Mark Ravenhill, dallo scenografo tedesco Jsan Pappelbaum e dall’artista visivo belga Jan Lauwers (insignito, sempre il 4 agosto, del Leone d’oro alla carriera).
Le sei residenze vedranno invece coinvolte altrettante realtà molto diverse tra loro per linguaggi e ambiti di ricerca. Il Blitz Theatre Group (Grecia) proporrà un lavoro ispirato liberamente alla Divina Commedia e intitolato “6 a.m. How to diseppear completely”. La compagnia spagnola Zarabanda metterà mano ad una surreale storia di anziani depositati in un magazzino di organi lesionati ma ancora capaci di sognare (il titolo suona “El grito en el cielo”). Sempre dalla Spagna arriva a Venezia una compagnia dedita alle arti performative, alla sperimentazione tecnologica e all’uso di oggetti vintage, Agrupación Señor Serrano, con il suo originale “Kingdom”. Il gruppo belga Gabriella Carrizo ci parlerà di stati di incoscienza e di dimensioni parallela nel lavoro “2/insomnio”. I nostri “Ricco/Forte” saranno impegnati in una rilettura dell’Orestea (“Sangue o Stato: traiettorie verso “Eschilo”, l’emblematico sottotitolo) e, infine, desta curiosità il progetto a tre voci AdA Venezia (Author directing Author) che vede coinvolti Neil LaBute, Marco Calvani (autore e regista molto attivo all’estero) e Nathalie Filion nella stesura di tre distinte pièce che verranno poi portate in scena in un’unica serata frutto di regie incrociate: Calvani dirigerà la pièce della Fillion, questa dirigerà LaBute mentre l’autore statunitense curerà il testo di Calvani. E dunque un ennesimo investimento nell’idea che il teatro da sempre e per sua natura necessita di condivisione e scambio. Umani prima che artistici (informazioni: www.labiennale.org).
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