Lo Sicco/Civilleri  @Nico Lopez Bruchi
Lo Sicco/Civilleri @Nico Lopez Bruchi

MATTEO BRIGHENTI | Un tricolore rammendato scivola da un pennone. Si affloscia e si sgonfia piegandosi su se stesso. Il gruppo di Lo Sicco/Civilleri lo guarda pietrificato. A ogni tentativo di issare quella bandiera si rinnova il fallimento. Non riescono a conquistarle una stabilità all’altezza che inseguono. Ci provano e riprovano, con le unghie e con i denti l’acrobata sale e stringe la stoffa bianco rosso e verde, ma è inutile. Fatica sprecata.

Il penultimo quadro, l’VIII, descrive, involontariamente, il “vorrei ma non posso” Era delle cadute, spettacolo ideato e sostenuto dalla Fondazione Pontedera Teatro e presentato nella grande sala “Thierry Salmon” del Teatro Era, all’interno del Festival Fabbrica Europa 2014. Voleva essere un’opera unica composta dei 7-10 minuti (salvo chi ha lavorato sui collegamenti) preparati, oltre che da Lo Sicco/Civilleri, da giovani realtà come Biancofango, Carrozzeria Orfeo, LeVieDelFool, Macelleria Ettore, Ossadiseppia, Scenica Frammenti, Teatro delle Bambole e Teatro dei Venti. Nella visione del direttore artistico, Roberto Bacci, Era delle cadute rappresentava un progetto addirittura necessario per “imprimere un’impronta artistica da parte di una generazione che è costretta dal mercato e dalla politica culturale a chiudersi soltanto nelle proprie identità per poter sopravvivere.” Alla prova della scena si è rivelato uguale identico a ciò da cui intendeva distaccarsi: una sommatoria di individualità che sono diventate collettivo solo perché hanno condiviso lo stesso palco. Una vetrina, insomma, una rassegna spot promossa da chi come Pontedera Teatro in 40 anni di attività, compiuti proprio quest’anno, non può non essere considerato corresponsabile del “mercato” e della “politica cultura” che Bacci, infatti, contrasta a parole e poi produce nei fatti.

Per restare dentro la metafora, la difficoltà di quell’alzabandiera finale è quindi dipesa dall’inclinazione del pennone. Era delle cadute è stato provato, visto, montato e sperimentato al Teatro Era dal 9 al 13 giugno e aperto al pubblico in due sole recite, il 13 e il 14 giugno. Roma non è stata costruita in un giorno, ne bastano cinque per costruire un lavoro collettivo che mirava, sono ancora parole di Bacci, “a lasciarsi cadere nelle idee e nelle sensazioni dell’altro senza perdere se stessi”? In così poco tempo si tende a pensare a se stessi e basta, come quando ci presentiamo a qualcuno che non conosciamo: siamo così concentrati sul nostro nome da prestare poca, pochissima attenzione a quello dell’altro. Nonostante quasi tutti si fossero già presentati: dal 7 al 10 febbraio 2013 al Teatro Era Scendere da cavallo li ha visti discutere fianco a fianco sul senso del fare teatro. Dopo la pausa di riflessione di un anno, Roberto Bacci li ha invitati a “risalire a cavallo” e a lavorare insieme su un tema unico, la caduta, scelto durante due incontri preparatori.

Ripiegatesi sul proprio ombelico concettuale, le nove realtà coinvolte in Era delle cadute hanno lasciato impresso soprattutto il vuoto che l’argomento comune aspirava invece a colmare. Attrezzisti gli uni degli altri, pesi e contrappesi, alzano, abbassano, spostano le quinte di uno spazio altrimenti nudo per costruire i IX quadri più prologo e raccordi, episodi che rispettano la stessa dinamica: azione / caduta, ponte per l’innesco di un nuovo ciclo di azione / caduta.

Cosa dicono? A chi? Emblematico dell’intera operazione è il IV quadro di Biancofango: Andrea Trapani e Simone Perinelli su una piccola panchina commentano una partita di calcio che non c’è, accompagnati al violoncello da Luca Tilli, seduto dietro di loro. “Si cade perché qualcuno ci rialzi.” “Se il portiere muore la partita può continuare?” La situazione non c’è, le parole nemmeno e dunque Trapani e Perinelli parlano solo perché devono, perché sono “appesi ai fili” della rappresentazione. Per loro non è importante cosa fare o dire, è importante fare o dire qualcosa per far passare il tempo. Qualsiasi cosa.

L’acrobata di Lo Sicco/Civilleri, allora, non riesce a metter su la bandiera della collettività non solo per difficoltà o condizionamenti strutturali e ambientali, ma anche per carenze sue, personali, per poca propensione alla coesione, per il fiato corto della creatività. A conclusioni simili sono arrivati pure Simone Nebbia su TeatroeCritica e Graziano Graziani sul suo blog in articoli di grande misura che fanno dialogare il site specific ideato appositamente per gli spazi del Teatro Era con la geografia di posizioni del “nuovo teatro” tracciata di recente da Renato Palazzi su Delteatro.it (Graziani tocca anche l’esperienza di Perdutamente, factory al Teatro India nell’ottobre-dicembre 2012).

Un esito inconcludente, scrive anche Andrea Porcheddu su Linkiesta con lo stile piano e franco che lo contraddistingue, ma comunque un esito, per lui che ha vissuto da vicino l’esperienza Scendere da cavallo, avendone curato il diario di bordo, una certificazione di esistenza in vita della nuova scena italiana.

Nonostante ciò, tra le inclinazioni del pennone e gli equilibrismi dell’acrobata, chi resta a terra è la bandiera, cioè il pubblico. Sgonfio, afflosciato, senza peso, ha un’unica possibilità di contare: i minuti che mancano alla fine.

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