LAURA NOVELLI | Forse perché parla dei bambini e dei ragazzi che siamo stati tutti; forse perché racconta il disagio – comune a molti – di affacciarsi sul mondo sentendosi relegati ai margini; forse perché ci ricorda i nostri palpiti adolescenziali, quei sentimenti così nuovi e tempestosi per i quali avremmo scalato le montagne o saremmo sprofondati nelle viscere della terra: fatto sta che “Potevo essere io” di Renata Ciaravino, interpretato da un’intensa Arianna Scommegna, dopo le felici repliche a Bratislava, al Kilowatt Festival e a Radicondoli, ha chiuso il suo tour estivo a Teglio, nell’ambito del Teatro Festival Valtellina, che le ha assegnato anche il riconoscimento di miglior spettacolo dell’edizione 2014. Aveva suscitato la mia curiosità già l’anno scorso, quando risultò lo spettacolo vincitore del Bando Nextwork 2013, soprattutto per il legame di “parentela” con l’omonimo romanzo della stessa autrice pubblicato nel 2007 da una piccola casa editrice ormai fallita. E dunque, raggiunta Renata Ciaravino al telefono, la prima cosa che le chiedo è proprio:
Come e quando nasce l’idea di trasporre per le scene il tuo romanzo?
“A dire il vero, malgrado lo avessi scritto con entusiasmo e dedizione, una volta pubblicato, ho instaurato con il mio libro un rapporto difficile: ho avvertito quasi un senso di rifiuto, di distanza, come se fosse un figlio non amato. Diciamo che me ne sono disinteressata per un bel po’, poi l’ho ripreso in mano per trarne una scrittura drammaturgica e l’abbiamo fatto in una prima versione teatrale a due personaggi di cui però non mi sentivo soddisfatta. Al monologo con Arianna, che tra l’altro reputo un lavoro ancora capace di ulteriore sviluppi, siamo arrivati molto gradatamente e il contributo di ciascun componente del gruppo di lavoro (Elvio Longato per il video e le scelte musicali; Carlo Compare per le luci, Serena Sinigaglia per la supervisione registica, ndr) è stato fondamentale”.
Quali sono stati i passaggi salienti attraverso cui si è cementata questa sinergia di competenze e poetiche diverse?
Innanzitutto è stato decisivo per me riscrivere il testo in forma di monologo; ho completamente stravolto la struttura della narrazione originale e in questo mi è stata molto utile la lucidità di visione di Elvio Longato. Dopodiché entrambi abbiamo capito che l’attrice giusta, quella che avrebbe potuto valorizzare meglio una partitura del genere, sarebbe stata Arianna Scommegna. Lei ci ha messo un po’ per accettare e poi si è convinta, e devo riconoscere che è bravissima. E’ riuscita a dare al testo una seconda vita. Finalmente sento di aver fatto pace con il mio romanzo: è una storia che amo moltissimo e che ora ritrovo sulla scena nella versione giusta”.
Nel monologo – di nuovo in scena in autunno in varie piazze – si segue il filo di due vite: quella della protagonista e quella di Giancarlo Santelli. Siamo nella periferia nord di Milano tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta. I due adolescenti avranno destini molto diversi. Quanto c’è di autobiografico nella trama?
“Certamente racconto una parte della mia storia e della storia di molti miei amici e colleghi con cui condivido il fatto di essere figlia di immigrati arrivati al nord e di aver trascorso l’infanzia e l’adolescenza in certi luoghi. Anche i riferimenti musicali sono di quell’epoca, motivo per cui gli spettatori quarantenni è probabile che si sentano molto coinvolti. Ma anche il pubblico di altre età e con estrazione geografica diversa ama questo lavoro, semplicemente perché affronta temi transgenerazionali, parla dell’infanzia, dell’inclusione e dell’esclusione. E questa è roba che interessa a prescindere dall’età e dal posto in cui si vive”.
Tu sei drammaturga di una formazione teatrale, la Compagnia Dionisi, che è molto viva e impegnata su fronti e progetti diversi. Cosa puoi anticiparci del lavoro “Fuck Me(n). Studi sull’evoluzione del genere maschile”, che debutterà a marzo all’Out-Off, e della prossima edizione del Festival Mixité?
“Per quanto riguarda Fuck Me(n) abbiamo chiesto a tre autori (Massimo Sgorbani, Giampaolo Spinato e Roberto Traverso, ndr) di scrivere tre pezzi su cosa significhi la mascolinità oggi, su come è cambiato il maschio rispetto alla coppia, alla famiglia, alla paternità. Ci sembrava che, fuori dall’ambito omosessuale, a teatro si affronti poco questo tema che invece io e l’intero team creato per il lavoro sentiamo in modo profondo. Il festival Mixité 2014, con lancio nel 2015, sarà una rassegna molto ricca, articolata sul tema dell’identità di genere, affrontato anche qui in modo ampio, largo, laico. Vorremmo mettere insieme produzioni che lascino emergere tutta quella sensibilità nascosta che muove oggi il mondo maschile e femminile. Ci sarà pure uno spettacolo simile a Fuck Me(n) il cui testo sarà composto da tre contributi distinti scritti da me, Cristian Ceresoli e Giuseppe Massa”.
E poi: qualche altro desiderio professionale per gli anni futuri?
“Probabilmente un altro romanzo. Ho già buttato giù le prime pagine. Chissà: staremo a vedere”.