NICOLA ARRIGONI – E’ un lungo funerale, in cui vivi e morti convivono, in cui la ritualità ebraica si intreccia con i sogni, in cui il denaro è signore subdolo, onnipotente e presente. E’ tutto questo Lehman Trilogy di Stefano Massini, un testo esemplare, ricco di suggestioni, complesso e con la chiarezza e la potenza dei grandi racconti epici. E’ tutto questo lo spettacolo di Luca Ronconi, un allestimento essenziale, minimalista in cui le insegne della Leham Brothers e un orologio sono gli unici segni in una sorta di sepolcro grigio dove si muovono tre generazioni di Lehman. Nel riferire di Lehman Trilogy vale la pena procedere per sezioni al fine di analizzare un’operazione che per la sua complessità è di per sé un viaggio pieno di rimandi, stimoli, affascinanti scenari per il nostro mondo al tramonto.
La storia – La storia dei Lehman spazia dagli esordi legati al commercio del cotone per arrivare alla globalizzazione della fine anni Settanta del secolo scorso, disegna 160 anni di storia del capitalismo americano. Si parte dall’arrivo di Henry Lehman negli States e dal commercio di cotone per passare all’espansione dei Lehman con i fratelli Mayer e Emanuel, divisi fra piantagioni e l’ufficio per gli affari nel cuore di New York. La spregiudicata ascesa di Philip, l’apporto politico di Herbert sono centrali e hanno il loro esito nella vertigine globale inseguita da Bob il cui orizzonte non è più l’America ma il mondo, vertigine che porterà alla cessione della banca e dell’impero Lehman fino al crack del 2008. La storia della dinastia ebraica dei Lehman racconta dell’invenzione del capitalismo, della nascita di Wall Street, dello strapotere delle banche, della crisi del ’29, ma soprattutto della forza del denaro che da mezzo diviene un fine. La storia dei Lehman è storia della signoria del denaro, della forza dell’accumulo, della possibilità che denaro faccia denaro. In questa parabola familiare sta la vicenda stessa del capitalismo e dell’economia occidentale prima e ora planetaria.
Il testo – Stefano Massini costruisce un testo che intreccia storia e rito, che fa dei Lehman delle figure epiche, delle sorte di semidei che reggono il mondo, a loro volta forti di un mondo che si regge su riti, su radici solide che via via si sgretolano. In questo sgretolarsi c’è anche la perdita di senso, c’è l’accecamento del profitto per il profitto, la perdita di un’etica del capitalismo, per dirla con Max Weber. I vari personaggi si raccontano alla terza persona singolare creando così una distanza fra chi narra e il lettore/spettatore, la distanza di un racconto che è al tempo stesso epico e ballata. A cadenzare gli avvenimenti i riti della religione ebraica e soprattutto i funerali e l’osservanza dello Shivà oltre che del ricordo del paese di cui i Lehman erano originari nella Baviera tedesca. L’ortodossia ebraica e la consapevolezza delle origini sono destinate viepiù a perdersi e annullarsi, una perdita di identità che cresce nella stessa misura in cui il denaro prende il sopravvento, in cui il profitto per il profitto hanno la meglio su qualsiasi etica. A richiamare quell’etica sono i sogni che i vari Lehman compiono, sogni premonitori o semplicemente volti ad allertare. Nello scorrere del tempo, nel crescere della ricchezza morti e vivi coesistono. Eppure tutto ciò si segue alla perfezione grazie a un testo fatto di riprese, di ritornelli che scandiscono l’azione, definiscono i personaggi, spiegano l’azione in una continua ripresa e avanzamento che ha lo stesso equilibrio sospeso di Solomon Paprinsky che passeggia sul filo davanti all’ingresso della borsa di Wall Street. Si entra pian piano nel testo di Lehman Trilogy ma poi si è trascinati, coinvolti in un racconto che è fatto di parole che risuonano precise e vere, concrete e feroci.
La regia – Luca Ronconi costruisce uno spettacolo essenziale, algido che fa dei Lehman non uomini, ma semidei che esistono in uno spazio separato, asettico, assoluto in cui il tempo è annullato e cadenzato solo dai riti dell’ebraismo in un ripetersi continuo e rassicurante ma anche disorientante. Le cinque ore di messinscena sanno essere serrate e appassionanti, sanno distillare e far brillare il testo di Stefano Massini grazie ad un insieme di attori eccellenti che il regista del Piccolo mette in competizione pur costruendo una grande coesione. La cosa è possibile anche per la natura essenzialmente monologante del testo, è come se ogni personaggio vivesse di una propria assoluta individualità, è come se ogni Lehman avesse la consapevolezza di essere parte per il tutto, sapesse di avere una spiccata individualità che racchiude la totalità di una dinastia. La stessa consapevolezza guida la regia di Ronconi e l’atteggiamento richiesto agli attori: Massimo De Francovich, Massimo Popolizio, Fabrizio Gifuni, Paolo Pierobon, Roberto Zibetti, Fausto Cabra, ma anche i comprimari Francesca Ciocchetti, Fabrizio Falco, Martin Llunga Chishimba, Raffaele Esposito, Denis Fasolo, Laila Maria Fernandez.
Gli attori – Diversi per stile e intensità gli attori di Lehman Trilogy sono macchine da guerra pur nelle differenze. Massimo De Francovich è ironico e leggero capostipite della dinastia Lehman, Massimo Popolizio strappa applausi con la sua un po’ tronfia e gigiona bonaria insicurezza di Mayer Lehaman, Fabrizio Gifuni è come il bastone che regge Emanuel in vecchiaia, rigido e inflessibile, agghiacciante ghiacciato nel suo agire oltre, nel suo aprire le porte al futuro finanziario della Lehman Brothers. Paolo Pierobon è mefistofelico, inarrestabile, potente e spiazzante nel suo personaggio calcolatore, così come il giovane e da tener d’occhio Fausto Cabra costruisce un Bob Lehman di grande e drammatica intensità. Diversi per stili e personalità i Lehman come i loro interpreti si ritrovano alla fine e idealmente noi con loro a ballare un drammatico e sfiancante twist della resistenza, del continuare malgrado tutto perché se ci si ferma nel profitto per il profitto, nell’inventare denaro è finita, il sistema crolla cosi come ha fatto crack la Lehman Brothers nel 2008. Alla fine di cinque ore di teatro e di parole applausi trionfali e un po’ di inquietudine perché il nostro futuro sembra segnato.
Lehman Trilogy di Stefano Massini, regia di Luca Ronconi, con Massimo De Francovich, Massimo Popolizio, Fabrizio Gifuni, Paolo Pierobon, Roberto Zibetti, Fausto Cabra, Francesca Ciocchetti, Fabrizio Falco, Martin Llunga Chishimba, Raffaele Esposito, Denis Fasolo, Laila Maria Fernandez, scende di Marco Rossi, costumi di Gianluca Sbicca, luci di AJ Weissbard, suono di Hubert Westkemper, trucco e acconciature di Aldo Signoretti, produzione Piccolo Teatro – Teatro d’Europa, al teatro Grassi, Milano, fino al 15 marzo.
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