VALENTINA SORTE |

A di Autre, l’Altro

Dopo gli attentati avvenuti a gennaio a Parigi, la parola d’ordine che si è imposta durante la 69° edizione del Festival d’Avignone è stata l’Altro. Rifiutando l’etichetta di supermercato della cultura che spesso gli viene affibbiata, il festival ha voluto porre i temi dell’alterità e della diversità al centro delle sue riflessioni. E’ nata così la formula Io sono l’altro” che ricalca la ben più nota “Je suis Charlie”.

Barbarians, Hofesh Shechter
Barbarians, Hofesh Shechter
B di Barbarians di Hofesh Shechter

Dopo il grande successo ottenuto nel 2010 con “Political Mother”, il coreografo israeliano – allievo di Ohad Naharin – era piuttosto atteso ad Avignone. Diversamente dalle aspettative, la sua nuova creazione “Barbarians” ha lasciato con l’amaro in bocca. Dal punto di vista dell’esecuzione non c’era nulla da rimproverare ai performer. La danza era molto energica e vigorosa, spontanea ma precisa. Millimetrica. Il disegno luci, ideato da Lawrie McLennan, era altrettanto magistrale. Pur essendo un trittico, la performance mancava però di coesione ed era poco leggibile. In ognuno dei tre capitoli (“The barbarians in love”; tHE bAD; Two completely different angles of the same fucking thing) l’artista ha interrogato in maniera radicale la dicotomia natura/cultura, senza riuscire mai veramente a superarla.

C di Chéreau Patrice, un museo immaginario

Dopo la sua scomparsa nel 2013, Avignone ha reso omaggio a Patrice Chéreau, dedicandogli una bellissima esposizione, articolata su tre assi: teatro, cinema e opera. Grazie alla Collezione Lambert, la mostra ha offerto un ritratto inusuale e toccante dell’uomo e dell’artista. Da non perdere.

D di Damnés, di Ivo van Hove

A conclusione del Festival, un annuncio inatteso. Sarà la Comédie-Française ad aprire nella Corte d’Onore la 70° edizione. Il regista belga Ivo van Hove curerà per l’occasione l’adattamento di “La caduta degli dei” di Luchino Visconti e segnerà il ritorno della Comédie al Festival dopo più di 20 anni.

E di Eveil artistique

Oltre a Riquet, Notallwhowandwrarelost e Dark circus presenti nella programmazione ufficiale dello ”IN”, Avignone ha dedicato uno spazio importante ai più piccoli, ospitando al suo interno la 33° edizione del festival “Théatr’Enfânts et tout public”, organizzata dall’associazione Eveil artistique. Nella conviviale Maison du Théâtre pour enfants il giovane pubblico ha potuto apprezzare la ricchezza della creazione contemporanea per ragazzi. 15 gli spettacoli proposti, tra cui Che sì, che no di Drammatico vegetale.

F di Festival d’Avignone

I bilanci di questa 69° edizione sono stati un po’ controversi. Sicuramente non è stato facile far fronte ai tagli del budget ed è stata sofferta la decisione di “accorciare” il festival: 50 gli spettacoli proposti, 280 repliche in tutto e 112.500 i biglietti staccati. Nonostante i comunicati stampa siano stati positivi e abbiano parlato di un alto tasso di frequentazione (93,05%) questa edizione si è rivelata un po’ sotto tono. Pochi gli spettacoli “incontournables”: A colpi d’ascia di Krystian Lupa, Riccardo III di Thomas Ostermeier, Antonio e Cleopatra di Tiago Rodrigues e Forbidden di sporgersi di Pierre Meunier e Marguerite Bordat. Hanno deluso invece Re Lear di Olivier Py e Ritorno a Berratham di Angelin Preljocaj.

G di Guillaume Bresson

Oltre al “museo immaginario” dedicato a Patrice Cheréau, un’altra mostra ha accompagnato la programmazione del festival. La suggestiva chiesa dei Celestini ha infatti ospitato le creazioni di Guillaume Bresson, sia quelle più recenti e site specific che le più conosciute. Grazie all’epicità contemporanea delle sue tele, l’artista ha immerso ancora una volta il pubblico nelle sue narrazioni urbane.

H di Homeriade

In questa estate accesa dai dibattiti sulla sorti della Grecia e dell’Europa, le parole di Dimitris Dimitriadis sono risuonate ancora più forti. Il suo canto epico ci ha riportati in una Grecia arcaica. Attraverso la voce di Omero e Ulisse, il poeta ha parlato della nostra identità e delle nostre radici. Le note di Martin Romberg hanno accompagnato questo interminabile viaggio nella nostra memoria.

I di itinerante

“Decentralizziamo!” è sicuramente la seconda parola d’ordine del festival. L’originale adattamento di Père Ubu di Alfred Jarry proposto da Olivier Martin-Salvan ha ridisegnato la topografia festivaliera, spingendo il pubblico fuori dal consueto perimetro avignonese. Sono state 15 in tutto le tappe di questo lungo e avvincente tour: Saze, Sarrians, le Pontet, Sorgues, Roquemaure…e molte altre. L’iniziativa ha avuto successo e sarà sicuramente ripresa nelle prossime edizioni.

L di « Le Bal du Cercle »

Dopo l’apprezzatissimo assolo Regarde- moi encore nel 2013, Fatou Cissé ha voluto cimentarsi per la prima volta in una coreografia corale, reinterpretando in maniera originale il Tanebeer, un’antica pratica africana in cui le donne si lanciavano in balli sfrenati ed sensuali, in una sorta di competizione liberatoria. L’artista senegalese ha trasformato per l’occasione il Chiostro dei Carmelitani in una passerella eccentrica e colorata ma il suo tentativo di decostruire quei gesti e quei movimenti, per ri-costruire un nuovo corpo femminile non è però riuscito. Peccato!

Monument 0, Eszter Salamon
Monument 0, Eszter Salamon
M di Monument 0

Nel suo spettacolo Monument 0 la coreografa ungherese Eszter Salamon, dopo un lungo lavoro di documentazione, ha riscritto la storia del XX° secolo e gli orrori del colonialismo a passi di danza. La performance ha attinto infatti alle danze di guerra di quei paesi che nell’ultimo secolo (1913-2013) sono stati coinvolti in conflitti bellici, riproponendole in una rapida successione di sequenze. Emblematica la scena finale in cui uno dei performer abbatte una ad una le targhe di un cimitero fantasma, ognuna delle quali reca le date di un conflitto. L’intento è molto chiaro e originale, ma la performance perde la sua forza e risulta a tratti didattica.

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