imageVALENTINA DE SIMONE | The end is near continua ad annunciare la voce fuori campo ma il ritmo, implacabile, non accenna a terminare. Dark – Light i comandi vocali basici di una cellula musicale che per un’ora si ripete imperterrita tra pareti bagnate da gocce nell’oscurità vermiglia. Braccati in questa concentrazione di ombre e beat elettronici, quattro creature della notte cambiano direzione, orientamento e posizione ad ogni apparizione luminosa, ma il loro è un muoversi senza andare da nessuna parte, sprovvisti di qualsiasi prospettiva evolutiva, inchiodati alla deriva di questo rincorrersi privo di senso.
È già racchiuso nel suo palindromico titolo il segno espressivo dell’ultimo lavoro di Roberto Castello, In girum imus nocte (et consumimur igni), presentato in anteprima a Short Theatre, una deriva di umanità alienata in un meccanismo che non ha risoluzione, se non nel suo perpetuo, irrisolvibile, girarsi intorno.

Minime, all’inizio, le variazioni del gruppo di danzatori a capo chino, solennemente vestiti di nero, che come un manipolo di zombi batte il tempo sul posto, disorientato, reagendo agli stimoli luminosi intermittenti che, a loro volta, azionano sul fondale geometrie proiettate di diverse latitudini. Il movimento, originato dalla nuca, si propaga alle braccia ciondolanti, al fruscio dei piedi e ad un oscillare del corpo che finge di avanzare nello spazio. Avanti, indietro, a destra, a sinistra, al centro. Quando il canone gestuale accelera, in un accumulo di tic, di spasmi muscolari, di loop costrittivi, di resistenze e rapidi scambi reciproci, le maglie del rigorismo, dettate dallo schema, paiono stringersi ancora di più, declinando la serialità in una trance estatica, in una possessione ancestrale.

Ancora una volta la voce, the end is near, ci fa presagire la fine dello spettacolo, ma la liberazione per queste anime impantanate nelle tenebre non pare giungere mai, neanche quando un’ironia diffusa sembra scompaginare i margini seri della performance, aprendo alla possibilità di conflitti o squarci di vulnerabilità. È il presente, con il suo eterno ritorno, l’unico futuro possibile di una società che ha rinunciato al desiderio e alla trasgressione. E Roberto Castello, coreografando la matrice ossessiva di questo preciso modello comportamentale ed esistenziale, ne smaschera l’artificio e l’impalpabile vuoto. Straordinari ed instancabili gli interpreti di questo rituale della contemporaneità, Mariano Nieddu, Giselda Ranieri, Ilenia Romano e Irene Russolillo.