06_uv_inspitedannywillems15dw-4933
Foto © Danny Willems

ANGELA BOZZAOTRA | Il revival di In spite of wishing and wanting (a dispetto del desiderare e del volere) resituisce la possibilità di assistere a una delle opere che meglio esprime quel certo sentire dei tardi anni novanta (lo spettacolo è del 1999), caratterizzato da un vitalismo estremo e da colori pop uniti a un ground new-beat, passando per una gravitazione costante tra le discipline artistiche, in questo caso danza, teatro e video. Ideato da Vim Vandekeybus, performato dalla sua compagnia Ultima Vez, lo spettacolo vede la luce nel 1999, dopo anni di gestazione. Il musicista David Byrne, frontman dei Talking Heads, assiste a uno spettacolo della compagnia e ne resta affascinato; negli anni il feeling diviene collaborazione, e inizia la genesi di In Spite of. Il materiale drammaturgico è costituito dai testi di Julio Cortazar e Peter Bowles, l’uno vate della letteratura argentina – immaginari fantastici che si stagliano sulla fredda e non consolante realtà dei sobborghi – l’altro il grande esule riferimento della Beat Generation – gli scenari di Tangeri trasfigurati dallo sguardo dell’intellettuale americano in esilio poetico. Al gusto per l’esotismo dei bassifondi e il viaggio verso il cuore pulsante del lato animale dell’uomo, si unisce la vena irriverente e erotizzante di Byrne; nello specifico dell’album Feelings del 1997 Il cui brano Dance on vaseline fa da soundtrack alla nota sequenza dell’ omonimo film tratto dalla coreografia inscenata in una strada, di notte (I’m taking back the ritual/I’m givin in the sweetness).

La composizione si svolge a seconda del medesimo modulo che si ripete, iniza con un monologo che si fa pian piano dialogo e poi danza corale, il ritmo è frammentario e spezzato, il fluire delle azioni è puntualmente interrotto e smontato da cenni parodistici, scene da farsa e accadimenti improvvisi, quali lo scoppiare di una miccia posta in un cuscino. I numerosi danzatori presentano tutti le medesime caratteristiche, estremamente atletici e vitali, corpi desideranti e massicci. Si muovono respingendosi e attirandosi, si trattengono e si lasciano andare, rilasciano un’energia animalesca, e talvolta si fingono anche degli animali, un cavallo, un pappagallo, una pantera. Il testo che recitano descrive, di fatto, le possibilità di diventare un animale, oltre ad evocare una serie di situazioni fantastiche e desideri di morte. Un danzatore dai lunghi capelli biondi in numerosi momenti si spoglia e si dimena in preda a convulsioni isteriche, come un selvaggio, e viene di volta in volta ‘salvato’ dal gruppo. Lungo l’ampia durata dello spettacolo, la composizione è mirata a stupire e coinvolgere lo spettatore, dalle luci da concerto costituite da fari, agli effetti di piume volanti e le proiezioni video. Lo spazio scenico viene attraversato dai danzatori nella sua interezza, rappresenta un’arena di combattimento, un deserto, una dimora dove addormentarsi (azione ripetuta più volte). I corpi sono messi in risalto dalle luci morbide, o nascosti dal buio, illuminati da piccole sfere luminose strette dai danzatori. Ogni immagine che viene affermata si nega, ogni momento di stasi è disturbato da un urlo, e ogni armonia, quale può essere quella di un lento ballato in completo da sera, viene spezzata da una lotta, o da un frenetico capriccio e desiderio. Il voler sempre tutto e poi nulla, la smania di disperdere energie in una corsa fine a se stessa, il prendere in giro e l’affermare seriamente; tutto è contenuto in In spite of, esempio di teatrodanza recitato in ben quattro lingue (italiano, inglese, francese, coreano), affresco della malattia della modernità e allo stesso tempo della sua cura nell’essere animale, il non-pensante, a dispetto del volere e del desiderare. Liberarsi dal giogo della bestia per incontrare il volo. Ma l’uomo è un animale che non sa volare, e sosta in un farsesco dimenarsi tra il sonno e la veglia, spremendosi il cuore e cercando il calore del suo simile.

Una concezione della danza come acefala, scevra da concettualismi, incentrata sul corpo e le sue dinamiche di attrazione/repulsione, contatto e distanza, volo e caduta. Le morbide musiche di Byrne donano una cornice che incastona le figure vigorose e colme di energia virile dei danzatori. La composizione risulta a tratti obsoleta, rimandando a cliché del consueto teatrodanza post-drammatico, pur lustrata a nuovo e con ricambio di interpreti. L’irrompere della danza nei luoghi della città, il suo carattere sovversivo e liberatore, risalta con difficoltà in un formato di circa 110′,  durata forse eccessiva per un messaggio semplice e diretto.

 

 

Direzione, Coreografia, Scenografia Wim Vandekeybus
Musiche originali, Paesaggio sonoro David Byrne “Fuzzy Freaky” remix DJ Food
Danzatori Rob Hayden, Eddie Oroyan, Yassin Mrabtifi, Guilhem Chatir, Grégoire Malandain, Luke Jessop, Luke Murphy, Flavio D’Andrea, Knut Vikström Precht, Cheng-An Wu, Baldo Ruiz
Assistente coreografia Iñaki Azpillaga, German Jauregui
Assistente artistico Greet Van Poeck
Costumi Isabelle Lhoas assistita da Isabelle De Cannière
Coordinamento tecnico Davy Deschepper
Luci Francis Gahide, Davy Deschepper
Suono Bram Moriau
Direttore di palco Tom de With
Produzione Ultima Vez
Coproduzione KVS (Bruxelles, BE) Coproduzione 1999 Teatro Comunale di Ferrara, Festival d’ estiú Barcelona Grec ’99, Luzerntanz e KVS

visto al Teatro Argentina di Roma, nell’ambito di Romaeuropa Festival, il 12/10/2016