FEDERICA GUZZON | Dopo l’intervista a Ferdinando Vaselli, che ci ha presentato il programma di Distretto Festival, raccontiamo l’Incontro su teatro e adolescenza tenutosi il 14 dicembre; un’occasione per i giovani di Civita Castellana di incontro, confronto e riflessione sul teatro.
La giornata si è aperta con un testo bellissimo di Alessia Berardi di Distretto Creativo, che racconta in modo tenero e ironico il percorso che stanno seguendo tra Le Rughe, Civita Castellana, Bassanio, Vignanello.
Distretto Creativo ha attivi diversi laboratori per un totale di cinquecento ragazzi. Alessia insieme a Ferdinando Vaselli presentano il Distretto Festival, nel quale raccontano la loro esperienza. Non solo la loro testimonianza, ma anche quella di altri registi, sceneggiatori, attori e critici, per raccontare il mondo della formazione teatrale.
Venerdì mattina si è parlato di quel mondo poco indagato che si muove in parallelo alla scena teatrale. I laboratori non sono solo scuole di recitazione per aspiranti attori, ma hanno una funzione sociale e morale all’interno della comunità. Attraverso di essi i formatori teatrali compensano le mancanze delle istituzioni. Distretto Creativo – anche come Bottega degli apocrifi di Manfredonia, Il teatro dell’argine e molte altre realtà in tutta Italia – lavora nelle scuole insegnando ai ragazzi a confrontarsi con loro stessi e con gli altri, mentre giocano in un luogo sicuro.
Alessia legge la sua lettera al pubblico e ai i ragazzi dell’istituto Midossi con i quali ha lavorato.
Il vero focus del nostro lavoro è l’ascolto del singolo e del gruppo, sotto le parole che nascondono.
Nel laboratorio hanno usato la forma dell’intervista affiché i ragazzi si raccontassero sinceramente. Hanno parlato di cosa li preoccupava, del bullismo a scuola e del sentimento di solitudine, iniziando un percorso di incontro con l’altro. Alessia dice che, prima di trovare una presenza scenica bisogna sentire la propria presenza nel mondo. Come Distretto Creativo lo fanno entrando in contatto con le realtà ignorate ed emarginate, le periferie.
Bisogna essere davvero appassionati, noi che portiamo il teatro nella scuola e che ci confrontiamo con l’ultimo. […] Nelle periferie delle periferie si trovano corpi feriti e noi vogliamo aiutarli a trovare la loro forza, la loro bellezza per riconoscersi nell’altro e sentirsi meno soli.
Dopo l’esperienza vivida di Alessia Berardi, un altro racconto di teatro della periferia, quello di Stefania Marrone della Bottega degli apocrifi di Manfredonia. Lei e il suo gruppo di amici, nel 2004, si sono spostati da Bologna a Manfredonia con «l’obiettivo politico di coltivare il deserto»; portare il teatro dove non c’è.
Lì oltre al teatro parrocchiale non c’erano altri spazi teatrali e avevamo difficoltà anche a prendere in affitto i pianterreni perché i teatranti non erano visti come una categoria affidabile. Quindi noi eravamo andati lì perché volevamo fare assolutamente il teatro ma non sapevamo con chi farlo e dove farlo. Ci siamo guardati e abbiamo cominciato così a scrivere i progetti per le scuole superiori.
La Bottega degli apocrifi lavora con gli adolescenti impegnandosi sul territorio a fornire un’alternativa in un luogo che offre poco, per poterlo chiamare casa.
Abbiamo scelto di stare; risponde a chi gli chiede cosa significare fare un laboratorio.
stare nel senso di stiamo insieme. Da verbo che significa sedentarietà di solito indica un verbo che significa azione. Stare: essere presenti, tutti insieme in quel momento. Lo stare allora è diventata una cosa fondamentale nel laboratorio con i ragazzi e anche per la nostra pratica artistica.
La formazione laboratoriale diventa per loro uno scambio reciproco per potersi mettere in gioco. Il teatro si vive, non si racconta, né si vede. Allora, anche se questi ragazzi non vanno a vedere spettacoli a teatro, sanno cos’è: una comunità che affronta un rituale collettivo per migliorarsi.
Fare teatro, non è andare in scena, ma svolgere un ruolo sociale e politico nella comunità, imparando lo scambio di opinioni e l’accettazione dall’altro da sé. Stefania continua:
Per noi succede che sconfini. Prima da me verso un altro e poi da me, grazie al gruppo, verso qualcosa che non pensavo di poter fare. Succede con il teatro. Una pratica sociale, artistica, terapeutica, formativa? È teatro e proprio perché lo è, è sociale e civile perché lo si fa insieme. più di tutto mi sento di dire è politico. Perché un laboratorio è un gruppo di persone che sudano insieme, che respirano insieme e che sconfinando passano il confine.
Anche Simone Amendola racconta la sua esperienza con i ragazzi nella periferia di Roma. Tiene laboratori di cinema, ma con gli stessi obiettivi del teatro. Dice infatti che «per lavorare con i ragazzi bisogna capire quello che vivono e confrontarsi con questo».
Da Bologna era presente invece Andrea Paolucci di Teatro dell’Argine, formatasi nel ’94. Allora erano in venti ragazzi, oggi fanno parte del gruppo ancora dieci, che oltre ad andare in scena, tengono laboratori e gestiscono un teatro. Per Andrea il teatro è una palestra che serve a esercitarsi come negli altri sport. Ti insegna a esplorare ciò che hai dentro, permettendoti di formarti come individuo.
Il teatro è un bene comune che deve essere tutelato e diffuso per non farlo estinguere. Le sale sono piene solo di tecnici, studiosi e critici, addetti ai lavori insomma; se il teatro continua a parlare a se stesso perderà la sua funzione sociale. Così se i ragazzi non si avvicinano al teatro; il teatro deve andare loro incontro, trovando nuovi spazi, comunicando, cercando un punto di contatto con il pubblico per crescere insieme.
Un impegno non solo dei teatranti, ma che anche i critici portano avanti come accade con i laboratori di Teatro e Critica, dei quali Andrea Pocosgnich ha parlato. Il teatro non si insegna, ma si può allenare lo sguardo, si può stimolare al confronto e alla riflessione.
Distretto Festival ha messo una luce sull’attività teatrale al di fuori dei grandi teatri e delle istituzioni, dove si ha più bisogno di questo rito collettivo.