ELENA SCOLARI e RENZO FRANCABANDERA | RF: La storia è così: prendi uno che fa una vita da cani, gli dai i mezzi e l’intelligenza per fare una vita da essere umano. Lo fai per tuo gusto. Il problema è che poi quell’individuo vorrà il mondo per come pare a lui migliore. Perchè lui l’intelligenza già ce l’aveva. Solo che non poteva usarla per cambiarsi il mondo attorno. Quando può usarla a questo scopo le circostanze possono essere meno tranquille di quel che si pensi. E alla fine, meglio come era prima, meglio sbarazzarsene in fretta. Che i cani continuino a fare la loro vita. Da cani. Che stiano a casa loro, nel sottoscala dell’esistenza.

ES: Accalappiato con il salame di Cracovia. Che razza di storia, eh?
Voglio iniziare la nostra conversazione su Cuore di cane con una citazione tratta dall’introduzione che Adriano Sofri fece a un’edizione del libro di Michail Bulgakov, e che ci aiuterà anche a inquadrare contesto e trama:

C’è una vicenda di continue metamorfosi. Uno striscione pubblicitario cubitale suggerisce <È possibile ringiovanire?>. Un luminare della medicina (Bulgakov era medico) tramuta un cane di strada in un uomo fallimentare, e l’uomo fallito in cane. La rivoluzione vuole tramutare il proletario sfruttato in cittadino libero e poi lo riprecipita nel fanatismo e nella soggezione.

Cuore di cane è del 1925 ma viene pubblicato, per via della censura sovietica, quasi trent’anni dopo la morte dell’autore, così come fu per il grandissimo romanzo Il maestro e Margherita. Fu Stalin che lo aiutò ad entrare al Teatro di Mosca, come vedemmo insieme in Collaborators al Teatro Filodrammatici due anni fa, ricordi?

Foto © Masiar Pasquali

RF: Perfettamente, sia dello spettacolo sia la storia di quegli anni incredibili in cui si prepararono eventi tragici di caratura mondiale. Erano anni in cui la rivoluzione faceva ancora sognare. Già dieci anni dopo iniziò ad andare un po’ diversamente, e nel giro di poco tempo la scena artistica e culturale fu ben piallata… Anche molti teatranti: basti ricordare la vicenda di Mejerchol’d che all’inizio della seconda guerra mondiale fu accusato di ostilità alla società sovietica. Il 20 giugno del 1939 venne arrestato e poi condannato a morte, fu uccisa anche la moglie.
Insomma un po’ di macelleria chirurgica già si iniziava a mettere in atto…

ES: Già, non si dormivano sonni tranquilli. Nemmeno nelle cucce, ci dice il nostro Michail. Il suo libro è una grande metafora, il genio di Bulgakov racconta una storia inscindibile dall’esperimento politico russo degli anni ’20 che voleva mutare il proletario nell’ “uomo nuovo”.
Lo spettacolo comincia infatti con una lunghiiissima prolusione del professor Filìpp Filìppovič Preobražénskij (Sandro Lombardi) che possiamo riassumere in un’ode alla giovinezza e alla scoperta scientifica che essa giovinezza parrebbe governata dall’ipofisi, ah l’ipofisi!
Lombardi recita sempre con un sostrato di autoironia che mescola divinamente la presa in giro di ciò che sta pronunciando e l’enfasi accademica con la quale lo riveste. Grande la sua capacità di assumere progressivamente un’aria prima esaltata e poi sgomenta e soggiogata.
Lo accompagna il dottor Ivàn Arnòl’dovič Bormentàl’, ottimamente reso da Giovanni Franzoni, indispettito, sospettoso, esprime un’alterigia sprezzante che sa trasformarsi in timore man mano che il cane si mostra un uomo in fieri, con tutte le scorrettezze e le malizie che ne conseguono.
Stefano Massini trae una libera versione teatrale dal racconto, intervenendo anche su elementi della struttura, ed è il primo punto che vorrei discutere con te, non ti sembra che si prenda qualche libertà di troppo?

RF: Mah vedi, su questo devo dire che mi sento d’accordo in parte, e vado a spiegarmi.
Quando riscrivi un’opera di quel calibro, adattandola per il teatro, hai due strade: una è quella del riassuntino slalom fra le battute, scegliendone di qua e di là. E quella per me non è drammaturgia, men che meno contemporanea.
L’altra è quella di un drammaturgo che sceglie la responsabilità di una riscrittura, che è anche un rischio, ovviamente. E Massini comunque quel rischio se lo prende: cercare una sua idea di fedeltà all’atmosfera da incubo, da consegnare a un regista per un allestimento che dia il senso del pensiero di quel testo (Cuore di cane), con quel determinato linguaggio (il teatro), nel tempo presente. Questo è per me essere drammaturgo oggi.

Foto © Masiar Pasquali

Se quindi devo ragionare su come l’animalesca creatura letteraria di Bulgakov sia stata trasformata in una creatura per la scena dal “professor Preobražénskij-Massinovich” beh, ti dirò, ho trovato più “noiosi” gli appoggi un po’ pretestuosi e vòlti a gonfiare artificiosamente alcune sezioni incidentali nell’autore russo (come le poche pagine del furtarello di venti rubli nel capitolo ottavo da parte del Dogman, che qui diventa invece pretesto per quasi tutto il secondo atto).
Dico questo perchè certamente riadattare un testo letterario è operazione complessa, sopratutto se oltre ai personaggi principali si vuol dar corpo anche a figure minori (come la cuoca Dar’ja – Bruna Rossi – e la cameriera Zina – Lucia Marinsalta), ciò per allargare la recita oltre il terzetto presente nel primo atto; per creare una pluralità umana, insomma, una società in miniatura. Ma queste figure dovevano pur vivere in scena, per non apparire pretestuose, vivere un loro quotidiano, che nella rilettura registica ha talvolta snaturato il codice originario.
Quella che definisci quindi “libertà di troppo”, che è un concetto che ovviamente si riferisce alla libertà di rielaborazione del modello, nasce dal combinato disposto di una riscrittura ampia e di una lettura registica.

ES: Un doppio rischio! L’impressione che si ha da lettore, muovendosi tra le pagine di Cuore di cane, è di un continuo scoppiettio inventivo e letterario, spesso esilarante ma soprattutto sorprendente. Per ritmo, feroce ironia, fantasia sfrenata e sempre sottilmente sarcastica.
Prima fra tutte l’idea di far parlare (pensare) il cane in soggettiva, anche nella fase precedente alla sua vera e propria umanizzazione: Pallino è incredibilmente intelligente già nelle sue osservazioni ancora canine, giudica gli umani con lucidità impietosa. Anche da altezza ciotola.
Questo aspetto un po’ scompare nella riscrittura di Massini. Ed è un gran peccato.
Paolo Pierobon è bravissimo, dobbiamo dirlo, Renzo, ma io ho trovato la sua bravura sacrificata, o meglio “ingabbiata” nella sola performance di esercizio evolutivo – straordinariamente ben condotta –  per quasi tutto il primo atto. Atto nel quale il processo di mutazione di Pallino da quadrupede a essere “erectus” è talmente dilatato da togliere qualunque sorpresa. Troppo tempo è dedicato alle fatiche dell’animale in trasformazione, fatiche verbali di apprendimento della lingua e fatiche fisiche per sollevarsi da terra, trascurando completamente che il suo livello intellettivo è già pari a quello umano, ben prima di subire l’intervento di sostituzione dell’ipofisi con quella di un uomo.

© Masiar Pasquali

Il risultato di questa libera riscrittura non è solo una certa noia ma anche – a mio parere – un tradimento più grave: il tratto umano è subito presente nell’animale, direi ontologicamente, per come Bulgakov ce lo fa conoscere nella prima metà del suo scritto. Ed è così che entriamo nel cervello di Pallino e un po’ anche in quello di Bulgakov. Cancellare questo presupposto apre uno scorcio che dà nuova luce all’opera, secondo te?

RF: Sembri però darmi ragione, nel concetto, perchè il fuori pista non è drammaturgico in assoluto, ma anche eminentemente registico. E anche qui provo a spiegarmi con un paradosso: supponi di togliere tutte le battute allo spettacolo, di riavvolgerlo come un film muto. Le cose che Massini non ha voluto recuperare e di cui fai menzione, la regia le ha volute riprendere? Inserire? Includere ritenendole delle mancanze aprioristiche e concettuali della rilevanza che tu illustri (e che comunque condivido)? A me pare proprio di no.
Sarà perchè penso al fatto teatrale come suprema combinazione di occasioni e intelligenze e perciò ritengo che il regista abbia tempi e modi per sovvertire quasi ogni equilibrio, se dovesse trovarsi non allineato al lavoro del drammaturgo. E qui questa sovversione manca. Diciamo proprio che manca l’aria di rivoluzione in questa regia.

ES: La regia di Sangati completa l’opera di addomesticamento di Bulgakov. La sua discrezione non si distingue per scelte forti, esegue un compito, un egregio e rispettosissimo servizio al testo di Massini, retto da attori eccellenti. Attori che con sapienza, arguzia, divertimento, si muovono sulla scena. Menomale che ci sono loro!

RF: Qui l’adattamento, già di suo è meno filosofico-politico e più social-accessibile; la regia poi non arriva a compiere del tutto l’operazione chiave di svolgimento simbolico profondo. Lanciata la palla del testo, questo Pallino targato Sangati ce la riporta indietro senza grandi fantasie. E, al di là dello “stregone”, come lo chiama Bulgakov, interpretato da un Lombardi ironico gran sacerdote, e di un Pierobon estenuato dall’esercizio sulla parola corrotta, il resto è troppo ordinario.

ES: Eh sì, diamo pieno atto del luccicante compendio recitativo in scena, Pierobon “liberato” brilla nella seconda parte per l’atteggiamento scanzonato e furbesco di chi ha imparato come rigirare la frittata, dacchè appare in abiti “civili”.
Tutti i costumi primo Novecento di Gianluca Sbicca sono curati, splendidi cappotti con schiere militari di bottoni allineati, in contrasto con le anarchiche bretelle di Pallinov e con il dimesso gilet (tutt’altro che giallo!) del professore.
Dal punto di vista dell'”arredamento scenico” Marco Rossi costruisce uno spazio che evoca i teatri anatomici, i gabinetti medici, fa immaginare i tanti locali di una grande casa niente affatto proletaria (non i 14 metri quadri bolscevichi). Mi è piaciuta, poi, l’idea di quel piano sotterraneo delimitato da rete metallica dal quale il cane emergerà ascendendo alla condition humaine.

RF: Ci sono delle idee. Degli spunti. Manca il ritmo cardiaco, un battito vitale che di tutte queste idee di singoli – anche interessanti prese ciascuna di per sé – faccia un corpo creativo compatto. Questo Cuore di cane soffre dello stesso male di Pallino: come Frankenstein è un corpo vivente fatto di pezzi diversi, che finisce poi per andare un po’ per una strada tutta sua.

 

CUORE DI CANE

di Stefano Massini
regia Giorgio Sangati
libera versione teatrale dal libro di Michail Bulgakov
scene Marco Rossi
costumi Gianluca Sbicca
luci Claudio De Pace 
trucco e acconciature Aldo Signoretti
con Paolo Pierobon, Sabdro Lombardi, Giovanni Franzoni, Bruna Rossi, Lucia Marinsalta, Lorenzo Demaria
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
coproduzione Compagnia Lombardi Tiezzi

Teatro Grassi, Milano
22 gennaio 2019

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