DAVIDE NOTARANTONIO |Rosso. Amore, passione, sangue, carne, fuoco, peccato. Sono solo alcuni dei significati che vengono attribuiti a questo significante. Secondo la Semiotica dei colori di Marialaura Agnello tali accezioni, frutto della cultura occidentale, vanno trovate nell’associazione data al rosso come colore del sangue e della carne, il che gli dà sia un carattere positivo che negativo a seconda del contesto storico-sociale – lo sapeva molto bene Verga quando, in Rosso Malpelo, descriveva come le credenze popolari su un colore potevano rendere difficile l’esistenza di un essere umano. In linea di massima, il rosso è il colore della sregolatezza, della discontinuità, del vivere al di fuori della realtà.

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Foto di Angelica Calanti e Antonio Palmieri

Questo spiegherebbe la predominanza del rosso in Paura e delirio, scritto e interpretato da Alessia Berardi e Ferdinando Vaselli e che avevamo già visto durante il *Festival *Troia *Teatro nell’estate 2018. È la storia di una vita ai margini della società: due fratelli vivono nella casa dove sono cresciuti, la madre ormai è morta e campano alla giornata con qualche lavoretto e piccoli furti. Tanto basta per poter sopravvivere ma non per pagare l’affitto di casa; così, dopo due anni di arretrati, il «negro» proprietario decide di sfrattarli. È da qui che ha sfogo il delirio dei due protagonisti, già espresso proprio da quel rosso acceso delle loro tute, predominante nei costumi quanto nelle luci: una semiologia che non ha bisogno di interpretazioni. La recitazione di Berardi e Vaselli è caricaturale al punto giusto da esprimere bene la follia e il disagio che alberga nelle menti dei fratelli, che si esprimono in un linguaggio scurrile e volgare a cui il romanaccio dà forza con la sua aggressività di cadenza ed espressioni.

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Foto di Angelica Calanti e Antonio Palmieri

Non è solo il rosso a fare la sua parte: lo spettacolo si apre con una luce verde che investe Vaselli intento a saltare la corda nervosamente. Verde rabbia, ma anche veleno, quel veleno che i due fratelli hanno assorbito nel corso della loro vita disadattata, alleviato solo dalla presenza della madre dalla quale non riescono a separarsi. La sorella continua ad apparecchiare per tre persone, su quel tavolo di legno – unico elemento scenografico, assieme a due sedie, qualche scatola di legno ai lati del palco e due pile di piatti di porcellana sul lato destro – dove hanno passato la loro infanzia, i ricordi della quale si infilano prepotentemente nei discorsi dei fratelli in qualsiasi momento. Quelli e il motivetto di Rocky, il film cult di Sylvester Stallone, che i due fratelli canticchiano pedissequamente quasi a volersi rispecchiare con il noto pugile e il suo desiderio di riscatto sociale e personale. Ma ben lontani dai buoni propositi dello “stallone italiano”, i due decidono di rapire il figlio del proprietario per chiederne il riscatto e, con quei soldi, comprarsi la casa.
Un piano folle che viene festeggiato dai protagonisti con una canzone – musiche di Sebastiano Forte – cantata da Vaselli stesso in scena che un «mare di fica» ottenuto grazie ai soldi del riscatto.

Si alternano tanti registri diversi che però rimangono sintonizzati sempre nel comico, ricevendo buone risposte dal pubblico in sala, che tanto simpatizza con i protagonisti quanto si allontana dai loro ragionamenti.
Ormai i fratelli sono soggiogati dalla paura del diverso, vedono immigrati tutti intorno a loro; «si stanno comprando tutto» dice Vaselli, «fuori è l’inferno» risponde Berardi. Seppur la vicenda resti tutto il tempo sospesa nell’assurdo, i sentimenti vengono scritti e messi in scena tenendo conto della realtà circostante, dopo il lavoro d’inchiesta dei due autori-attori per i quartieri periferici di Roma. Un tipo di approccio che da sempre accompagna i progetti della compagnia, già attiva da anni con Distretto Creativo – ne avevamo parlato in un’intervista con Vaselli –, che prende corpo in questo spettacolo con il punto di vista di quelle persone emarginate, escluse, che vedono proprio negli stessi emarginati il motivo della loro disgrazia diventando benzina per il loro odio.

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Foto di Angelica Calanti e Antonio Palmieri

Ma quando la «creatura» entra nella loro casa, un innato amore materno investe la sorella che si dedica alla cura per quel bambino, al quale il fratello risponde con eccessiva aggressività, intento a eliminarlo. Ecco che, come in un dramma di Harold Pinter, il fragile equilibrio interno della casa viene messo in discussione dall’arrivo di un intruso: viene introdotta in casa una nuova visione sulla vita, in grado di essere un’ancora di salvezza da quell’odio in cui i due fratelli sono immersi e rischiano di affogare.
Lei vede questa speranza, lui no; la tragedia a conclusione del racconto è inevitabile. Forse un po’ troppo affrettata; gli autori avrebbero potuto concedere più pathos e più tragicità, nonché un punto più fermo alla vicenda, che lascia il dubbio se il finale sia aperto o chiuso. Certo è che non ha realmente importanza: scopo dello spettacolo è quello di offrire un diverso punto di vista in una discussione pubblica che sembra essere predominante in qualsiasi contesto nostrano. Vuole dimostrare che bisogna vivere al di fuori dei ricordi a cui ci aggrappiamo e liberarci dal veleno che abbiamo assunto per anni, per ritrovare quell’amore necessario a sopravvivere e convivere con tutti gli elementi della nostra società, interni ed esterni. O forse dimostra che, da qualsiasi punto di vista si guardi la situazione, il futuro è nero. Anzi, è rosso.

PAURA E DELIRIO

di e con Alessia Berardi e Ferdinando Vaselli
musiche Sebastiano Forte
aiuto regia Marianna Arbia

Spin Time Labs, Roma
23 marzo 2019.

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