Disegno Renzo Francabandera

ANTONIO CRETELLA | In qualche punto del Paleolitico, il cosiddetto Homo Erectus, progenitore dell’uomo moderno che si distingueva dalle altre forme di ominidi per la conquista della postura eretta, scoprì come controllare un fenomeno naturale, il fuoco, che fino ad allora aveva visto probabilmente solo durante i temporali come effetto della caduta dei fulmini o sprigionarsi dalla terra sotto forma di lava. In entrambi i casi, esso rappresentava all’inizio solo un nemico, una divinità maligna che divorava alberi, erba, gli esseri viventi. Osservando però la natura, notando quali eventi potevano evocare quel demone rosso e giallo dalla materia, capì che lo sfregamento di alcuni materiali gli consentiva di riprodurre a piacimento lo stesso fenomeno. Ai tempi nessuno ancora parlava, ma sicuramente quando il primo uomo che imparò a creare il fuoco andò dai suoi simili a mostrare cosa aveva scoperto, uno di loro a segni e a mugugni gutturali fece capire: “Ma che ce ne facciamo di ‘sta cosa? Pensa piuttosto a raccogliere due frutti e a cacciare qualche belva”. Quella “cosa” servì all’uomo a sopravvivere più facilmente agli attacchi delle bestie che temevano il fuoco, a cacciare di notte con una luce artificiale, a cuocere i cibi che divennero più nutrienti e fonti di minori infezioni; più avanti a fondere i metalli. All’uomo che scoprì il fuoco seguirono quello che inventò l’agricoltura, al quale obiettarono che non serviva a niente star lì a zappare la terra quando c’erano le bacche spontanee da raccogliere, quello che inventò la scrittura, a cui dissero di non perdere tempo a disegnare robacce nella creta e di fare cose più importanti, fino ad arrivare all’inventore della bussola (“Sì, ma a che serve sapere dove sta il nord?”), il cannocchiale (“Bello, ma a che ci serve guardare lontano?”) o il microscopio (“Sempre a perdere tempo con quelle lenti, tu”). E poi l’elettricità, il laser, la radioattività, il computer, l’antimateria, la fotografia di un buco nero. Tutti accomunati dal trovarsi sulla spalla un gufo miope e obiettore che, nonostante il percorso di studio millenario della natura che ci ha portato al mondo di oggi, continua a non capire il valore della comprensione della struttura della realtà e del suo funzionamento. “Pensate a curare il cancro invece di fotografare i buchi neri”, scrivono sul loro smartphone che funziona con l’eletticità e i sistemi informatici che simulano le attività neurali, collegato a reti che sfruttano le onde radio per comunicare dati e collegarsi a satelliti artificiali per dire loro dove si trova la pizzeria dove fanno la pizza più buona, quella cotta a legna col fuoco che un giorno fu la scoperta inutile di un ominide lungimirante.