RENZO FRANCABANDERA | Qui prima ancora che di uno spettacolo, si parla di un luogo e di una comunità di persone.
Il luogo è il litorale ravennate, una zona che nei secoli ha vissuto vicissitudini incredibili, diventando finanche capitale di un impero che abbracciava quasi tutta l’Europa e il Medioriente. A guardarlo bene oggi, pare continui ad avere questa vocazione cosmopolita: l’area dei lidi ravennati, che d’estate si popola di turisti da tutto il centro Nord Europa, nel resto dell’anno è dimora stabile di nuclei familiari e stanziali che creano un vero crogiolo mondiale.
Basta entrare in una qualsiasi classe scolastica e vedere i bambini fra i banchi: raccontano già a vista d’occhio il melting pot di questa periferia un po’ proletaria della ricca Emilia, con lavoratori e braccianti che arrivano dai paesi della migrazione e che si dedicano alle sterminate colture, balzate agli onori della cronaca perché distrutte dai recenti eventi alluvionali.
Qui è attivo da molti anni il lavoro di recupero e riqualificazione culturale portato avanti all’interno di una struttura che negli anni d’oro di Ravenna della seconda metà del secolo scorso, quando questa era la terra di Ferruzzi e aveva conosciuto un nuovo periodo d’oro, era la scuola internazionale di mosaico, il Cisim, che voleva riportare in auge l’antica pratica musiva, per la quale Ravenna è nota in tutto il mondo.
Caduto poi in un miserabile abbandono, l’immobile è stato da circa un decennio, ripreso e gestito da un gruppo di giovani e tenaci operatori culturali della zona che in parte figli dei semi germinali lanciati dalla non-scuola del Teatro delle Albe, in parte provenienti dalla cultura musicale e dalla pratica del rap, ha creato in questo luogo un autentico miracolo, ponendo in essere una tenace e continua pratica laboratoriale che coinvolge gli abitanti del territorio di ogni età e cultura e portando in questa zona stimoli e spunti da ogni luogo d’Italia e del mondo.
Era successo che a partire dal 2007, il Teatro delle Albe, la cooperativa sociale Libra e il gruppo rap e associazione Il Lato Oscuro della Costa, impegnati in numerose attività sul territorio di Lido Adriano già dagli anni Novanta, avevano iniziato a immaginare un centro sociale e culturale per il paese, e da giugno 2009, hanno avuto in concessione dal Comune di Ravenna il centro Cisim, chiuso oramai da quattro anni. Poi c’è stato il restauro e la messa a norma realizzati dal Comune di Ravenna e la gestione concessa a Il lato Oscuro della Costa (all’inizio in collaborazione con Libra e con il sostegno esterno di Ravenna Teatro e ora unico gestore) che ne ha fatto un centro culturale multidisciplinare, casa (anche) delle arti visive urbane: sui muri interni ed esterni, in dialogo con la street culture, opere murali di molti importanti street artist italiani, come Eron, che realizzerà –con la curatela di Alessandra Carini– la sua prima opera di arte pubblica a Ravenna, dedicata proprio al neonato Grande Teatro di Lido Adriano.
È in questo contesto, quindi, che nasce uno spettacolo, una creazione in un certo qual modo collettiva, che ha coinvolto un numero di partecipanti importante: attori e musicisti, artisti e cantanti, bambini e adulti di varie nazionalità che da circa sei mesi sono al lavoro qui a Lido Adriano, per dar vita a Mantiq At-Tayr – Il Verbo degli Uccelli, prima tappa di un progetto corale pluriennale, il Grande Teatro di Lido Adriano.
Tutte queste popolazioni artistiche e sociali diverse sono entrate dentro questo progetto creativo, a proprio modo rivoluzionario, che finalmente arriva alla ribalta nazionale, aprendo l’edizione di quest’anno del Ravenna Festival, sebbene in un periodo così infausto come questo fine maggio 2023, funestato dagli eventi alluvionali.
Decidere se fare o non fare lo spettacolo è stato il vero dilemma dei partecipanti, perché si trattava di portare a compimento un lavoro di mesi, faticosissimo, mentre attorno ancora oggi ci sono i segni della distruzione.
Fra i partecipanti al progetto ci sono anche diverse persone la cui vita, le cui case, i cui terreni, sono stati travolti dall’alluvione. Pare siano stati proprio loro a insistere affinché si andasse fino in fondo, affinché quel “tin bota” (tieni botta) diventato il motto della Romagna che non si piega al disastro, diventasse un po’ il motto anche di questo esperimento, arrivando fino in fondo.
E così è stato.
Non casuale che la creazione si apra sulla spiaggia di Lido Adriano, dove dopo aver celebrato un rito con un uomo e una giovane ragazza, un maestro direttore d’orchestra entra con il suo frac nero in mare, agitando la bacchetta in aria, dando il via alla sinfonia delle onde; forse anche un richiamo a questo mondo che viene sommerso mentre l’orchestra del Titanic continua a suonare; un’immagine che porta dentro l’allarme lanciato dagli abitanti delle isole dell’Oceano Pacifico che hanno fatto una conferenza stampa in occasione della recente conferenza mondiale sul clima, con l’acqua che arrivava alle ginocchia a testimonianza che il territorio e la specie umana sono a rischio.
Occorre arrivare a ritrovare lo spirito; che l’umanità conosca l’Assoluto e il valore della vita umana, una ricerca così ben descritta nei poemi millenari come quello da cui Luigi Dadina e il gruppo di artisti che a lui si sono uniti, ha preso spunto per la drammaturgia di questo progetto collettivo di teatro partecipato popolare.
Il verbo degli uccelli (in persiano منطق الطیر, Manṭiq aṭ-ṭàir, 1177), tradotto anche come La conferenza degli uccelli, o Il discorso degli uccelli è un poema di circa 4500 versi in persiano di Farīd ad-dīn ʻAṭṭār da cui Tahar Lamri ha ricavato la drammaturgia di questo spettacolo. Si tratta di un adattamento delle complesse vicende del poema, che narrano l’epopea mistica di un gruppo di uccelli, guidato dall’upupa, per trovare qualcuno che li governi, un regnante, il Simorgh. Dopo molte peripezie, viaggiando per sette simboliche valli – quelle della Ricerca, dell’Amore, della Comprensione, dell’Indipendenza, dell’Unità, dello Stupore e della Povertà, compiranno un vero e proprio, durissimo, viaggio iniziatico.
Dei tanti partiti, dello stormo levatosi in cielo per migrare, solo trenta volatili arrivano alla meta, per scoprire che il Simorgh altro non è che uno specchio in cui è riflessa la loro stessa immagine: come a dire che la fine e il fine del viaggio coincidono nella ricerca di sé stessi.
Lo spettacolo itinerante, con musica dal vivo, ha avuto inizio ogni sera alle ore 20 con appuntamento al Cisim. Lo spettacolo ha attraversato dalla spiaggia tutta Lido Adriano, per giungere nel giardino del Cisim, in uno spazio scenico segnato da un’opera dell’artista visivo Nicola Montalbini, che insieme a Alessandra Carini ha lavorato alla creazione della scena e alla supervisione dei costumi. Quella di Montalbini è un’immagine delle valli che gli uccelli dovranno oltrepassare per arrivare al Simorgh, paesaggio oscuro ma arricchito sul prato da tappeti orientali e altri pochi oggetti, a voler rivelare più che nascondere la natura di quel luogo.
I grandi temi etici, filosofici, spirituali su cui questo spettacolo con vivace e propulsiva intensità, si interroga vanno dall’interrogarsi sui propri dogmi, dalla valle in cui la ragione viene abbandonata per seguire l’amore, passando per quella in cui le più grandi conoscenze del mondo diventano completamente inutili, e poi per quella in cui i desideri e i legami terreni cessano e la “realtà” svanisce, fino al momento in cui il pellegrino realizza che tutto è connesso e che l’unica certezza è sapere di non sapere, che occorre conoscere se stessi, come recitava l’iscrizione sul tempio dell’oracolo di Delfi.
A quel punto l’Io svanisce nell’Universo e il pellegrino diviene senza tempo.
Il Verbo degli Uccelli – ph Nicola Baldazzi
Gli interpreti indossano delle tuniche chiare, che di volta in volta fanno comprendere a quale gruppo narrativo appartengono, e li rendono tutti uguali, oltre lo specifico vissuto da ciascuno, dentro una drammaturgia che mantiene la struttura a incastro, fatta di scatole cinesi, tipica del sistema di racconti della tradizione arabo-persiana, come ne Le mille e una notte.
Il mosaico narrativo si compone di piccoli racconti, sequenze narrative spesso interrotte che fluiscono le une nelle altre, con un’operazione di costruzione della parola che ha coinvolto direttamente anche il poeta musicale Lanfranco “Moder” Vicari, condirettore artistico del progetto con Dadina: a lui si deve la ricca presenza nella creazione dell’elemento musicale in tutte le sue forme (non solo l’hip hop), così da aiutare a raccontare le storie del poema in lingua contemporanea, viaggio delle e dalle periferie di tutto il mondo.
Lo spettacolo si nutre di questo segno sonoro fin dall’accesso del pubblico al Cisim, passando di bocca in bocca fra giovani e bambini, in un grande coro multietnico che rende benissimo l’immagine di questo che è il linguaggio artistico più diffuso tra le seconde generazioni di immigrati. Moder è artista e poeta di particolare raffinatezza, che dall’inizio del 2021 ha cominciato anche ad insegnare «Modalità di scrittura nel rap» per il Dams di Bologna, all’interno del Master in Produzione e Promozione della Musica, coordinato da Anna Scalfaro e Pierfrancesco Pacoda, affiancando Emidio Clementi dei Massimo Volume. Il suo segno artistico è diventato intermittenza e ricamo dentro la costruzione drammaturgica: un’invocazione a cercare la rosa nella notte color petrolio, che accoglie gli spettatori all’ingresso del Cisim.
Di qui in poi, un canto della indimenticata (e anche lei periferica per natura) Rosa Ballistreri reinterpretato da un ensemble musicale, permette al pubblico l’accesso allo spazio della rappresentazione.
Si prende posto, inizia una creazione frontale, collettiva, in cui la parola del poema riscritta da Lamri si mescola ad una sofisticata e raffinata creazione musicale, firmata da Francesco Giampaoli, ed eseguita dal vivo da musicisti che, oltre che eseguire la partitura dal vivo, creano una sorta di continua sonorizzazione della rappresentazione scenica, facendo sì che il tutto abbia il sapore di un musical mitologico, una narrazione epica che come tale attraversa la popolazione, passa di madre in figlio, di racconto in racconto.
Ne deriva così una ricomposizione delle fiabe del poema che unite, a mosaico, e qui è proprio il caso di dirlo, diventano racconto di un’umanità specifica, quella di Lido Adriano, ma allo stesso tempo dell’umanità tutta, quella di sempre, che nel finale viene invitata dagli uccelli bambini, a riflettersi allo specchio, a guardarsi in faccia.
Bello tutto il lavoro sulla mimica e la gestualità corale, che sostiene la creazione, affrancandola dalla naturale naïveté che tipicamente attraversa il teatro partecipato: qui invece lo spettacolo rimane scevro di inutili complessità che avrebbero rischiato di raschiare via l’elemento genuino, dato dalla ampia partecipazione popolare.
Insomma, chiunque fra gli interpreti adulti e i bambini porti in scena un gesto, una parola, li vive dopo averli fatti propri, se ne è impossessato, una cosa bella per un’operazione complessa e sentita, che si riflette nelle lacrime che a fine recita scorrono sulle guance di diversi spettatori del posto che in questa creazione sentono in senso di rinascita e forse anche rivincita di una terra che vive di complessità specifiche e a suo modo di emarginazione. Chi lo immaginerebbe, nel ricco Centro-Nord! Ma i Sud, le periferie, sono dovunque, non esiste nord senza sud, centro senza periferia, perchè come lo spettacolo racconta, sono un tutt’uno, un’unica medaglia, proprio come si racconta nel poema, e come discende dalla antica dottrina Sufi secondo cui Dio non è esterno o separato dall’universo, bensì costituisce la totalità di ciò che esiste.
I trenta uccelli, alla fine del loro percorso, comprendono l’identità che c’è fra il “Simurgh” alla cui ricerca erano partiti e la loro stessa essenza; lo spettatore comprende che quella comunità che pratica arte fra palazzoni proletari che affacciano sulla costa è emblema di un bisogno di purificazione, di liberazione dal vizio umano che ostacola il raggiungimento dell’illuminazione spirituale. Come le valli simboleggiano le tappe che un Sufi deve attraversare per attingere la vera natura di Dio, così il progetto per tappe del Grande Teatro di Lido Adriano si vuole pensare un po’ come iniziazione di quella parte della popolazione di questo luogo che vuole e può trovare riscatto, non vuole soccombere all’emarginazione e alla incoscienza di sè.
L’operazione è meritoria, coinvolge e commuove, riportando il teatro ad antichissimi e originari valori.
MANTIQ AT-TAYR – Il Verbo degli Uccelli
direzione artistica Luigi Dadina, Lanfranco Moder Vicari
regia Luigi Dadina
drammaturgia Tahar Lamri
direzione organizzativa e costumi Federica Francesca Vicari
creazione scena e supervisione costumi Alessandra Carini, Nicola Montalbini
ideazione costumi Sartoria Natascia Ferrini, Stefania Pelloni, Simona Tartaull
composizione musiche e arrangiamenti Francesco Giampaoli
composizione testi dei brani musicali e direzione cori Lanfranco Moder Vicari
coordinamento musicale Francesco Giampaoli, Enrico Bocchini
narrazione e cura degli spazi scenici Massimiliano Benini con Lorenzo Carpinelli
in scena un centinaio di persone tra attori e musicisti.