RENZO FRANCABANDERA | Trent’anni sono un tempo molto lungo. Nel mondo dell’arte lunghissimo, se si pensa a festival e momenti di incontro con il pubblico e i territori. Come tutte le precedenti, anche l’edizione numero XX di Opera Prima, il Festival organizzato a Rovigo dal Teatro del Lemming sotto la direzione di Massimo Munaro, è dedicata a due compagni di viaggio che non ci sono più, Martino Ferrari e Roberto Domeneghetti.
Rovigo, con Opera Prima, da questo punto di vista, è una di quelle periferie dell’impero delle arti sceniche che con il suo fare ibridato e sperimentale ha facilitato in questi decenni (30 dalla prima edizione, sebbene con qualche buco nel tempo), la nascita, la crescita e la diffusione del linguaggio dello spettacolo dal vivo.
Sono passati tutti di qui. Il festival, da alcuni anni, ha proprio la logica di abbinare l’esperienza al segno giovane, i maestri ai nuovi segni delle arti sceniche e performative, le stanchezze insieme ai turbamenti e ai sussulti improvvisi.
È klimtianamente quanto racconta anche l’immagine iconica di questa edizione, una rivisitazione al femminile delle Tre età, con tre figure di donna che testimoniano il passare del tempo e delle generazioni del teatro, con rimandi ai manifesti della prima edizione del 1994 con una figura femminile nera, per passare alla donna vestita di bianco e al futuro della donna in rosso.

Ma anche la programmazione è stata un viaggio dentro la storia del festival, per via della ripresentazione di spettacoli storici, occasione imperdibile per rivedere alcune opere importanti, come Jago di Roberto Latini, che fu a Opera Prima nel 1998 con questo stesso lavoro, o come le Ariette con Teatro da mangiare?, presentato per la prima volta a Opera Prima nel 2001, o il leggendario QUIJOTE! del Teatro Nucleo, spettacolo del 1990, ripreso dalla compagnia quest’anno per i cinquant’anni dalla sua fondazione.
Il Lemming ha aperto il festival presentando la sua nuova produzione, Attorno a Troia_TROIANE, che si è chiuso con il concerto del pianista siriano-palestinese Aeham Ahmad.

Iniziamo il racconto di questa edizione da Rivolti di MOMEC, una piccola performance che, come gli altri anni, si svolge nella loggia antistante la piazza centrale di Rovigo. MOMEC è un collettivo di artist3 che lavora sul tema della memoria, fondato nel 2018 da Mario Previato, ex attore del Teatro del Lemming. Qui propongono una creazione realizzata con la partecipazione in presenza di due performer, Fiorella Tommasini e Antonia Bertagnon. Rivolti gioca sul pensiero della condizione di impossibilità, che molti percepiscono, di attivare e attivarsi in una forma di cambiamento. Cosa possiamo cambiare? Si può cambiare?


Perché non iniziare da sé stessi, è la risposta.
L’esperienza si fruisce singolarmente e si attiva per un partecipante ogni 15 minuti circa. Entriamo in un ambiente di riflessione, sulla Loggia della Gran Guardia, dedicato anche ai caduti nelle guerre. Le lapidi ricordano le vite spezzate dall’azione, mentre le nostre paiono spezzate dall’inazione. Dubitiamo che di questa nostra inettitudine verrà fatta memoria con qualche lapide dai posteri. Siamo in una condizione di paralisi del pensiero critico e dell’azione, come sostiene MOMEC, in una situazione di ignavia che ci rende passivi, tanto a livello politico-sociale, quanto nell’ambito privato. Ecco perché, dopo un primo ambiente di introspezione, si passa a un secondo in cui ci viene chiesto in che modo vorremmo cambiare, partendo da noi. Abbiamo il coraggio di dirlo ad alta voce? Davanti a tutti?
Si conclude proprio così questa performance. Pubblicizzando la propria intenzione di cambiamento. Un atto forse piccolo, ma di coraggio, che nell’intenzione del collettivo può stimolare la liberazione da questo immobilismo interiore, per accorciare anche solo di un pochino la distanza che separa il mondo che viviamo dal mondo che desideriamo.

Tuffarsi dopo questa visione dentro il racconto di Paola Berselli e Stefano Pasquini, coadiuvati in scena da Maurizio Ferraresi, per tanti versi è qualcosa che ha a che fare con la stessa domanda, la stessa intenzione. I due artisti, in questo spettacolo che ha la rituale forma della cena per un limitato gruppo di spettatori, raccontano la loro decisione di spostarsi dal tumulto cittadino alla vita nei campi, trasformando questa scelta in dinamica artistica attiva, fatta di un grande impegno di autorealizzazione del proprio sogno. Come il cibo che offrono agli ospiti, così tutto alle Ariette in Valsamoggia è fatto con tanta fatica.
Il Teatro delle Ariette, nato nel 1996 da Paola Berselli e Stefano Pasquini insieme a Maurizio Ferraresi, produce, studia, organizza e promuove teatro in Valsamoggia, dove ha costruito con le proprie mani, in mezzo ai campi, il Deposito Attrezzi, ex edificio rurale diventato teatro nel 2017.
Una pratica che ha qualcosa di obsoleto e spirituale, che affascina da decenni coloro che vengono attorno al tavolo a prendere parte al rito. Un rito che, come ricordano, si è iniziato con un folle invito di Cinzia de Felice e Armando Punzo, che alcuni decenni fa li spinsero a proporre questa forma spettacolare, che abbinava una pratica di nutrimento materiale a una di nutrimento spirituale. Da allora, da decenni, va così. E queste lunghissime tavolate, sempre affollate e colme di gratitudine a fine spettacolo, stanno lì a ricordarlo.

A loro il miracolo della coagulazione delle intenzioni di chi sta seduto attorno al tavolo riesce sempre. Sarà il cibo, sarà il loro modo di raccontare come se si stesse chiacchierando in cucina, che poi si irrobustisce teatralmente con la presenza mimica, ora tragica ora clownesca, della Berselli, ma alla fine questo tuffo fra memorie e gesti antichi diventa una sorta di ritorno al ventre materno, di accoglienza del viandante. Siamo a oltre 1300 repliche in giro per l’Italia e l’Europa per questo spettacolo. Evidentemente funziona!

Funziona oggi come allora l’incredibile Jago di Roberto Latini, che come definisce l’artista stesso è un concerto scenico con pretesto occasionalmente shakespeariano per voce dissidente e musica complice. È il frutto di un lavoro in trio, un terzetto che avrebbe poi continuato a lavorare insieme per anni: affiancano Roberto Latini, infatti, Gianluca Misiti alle musiche e al suono, mentre alle luci e alla direzione tecnica Max Mugnai.
Lo spettacolo concertato si fonda sulla musicalità e la polifonia con cui Latini ricrea gli ambienti, le atmosfere e le voci del dramma shakespeariano, leggendolo dal punto di vista di uno dei più controversi personaggi del Bardo. Lo spettacolo concludeva il percorso RADIOVISIONI, insistendo su alcune tappe della ricerca del gruppo sull’amplificazione. Questo Jago è riproposizione, quasi fedele, in veste sonora, di un precedente Jago, distante circa trent’anni. Latini lo aveva presentato nel 1998 proprio a Opera Prima con un gruppo che allora si chiamava Clessidra Teatro.
In un teatro apparentemente disarmato, Latini è forma e spirito di una recita incentrata sulla sua voce, ma anche sul suo corpo, liminale fra chiaro e scuro, fra luce e ombra, mentre dietro il sipario si illumina di coloriture colossali e drammatiche. Inizia in sala questa recita, Jago, quasi a farsi parte di chi è al di qua e a ricordare che un po’ di questo personaggio appartiene a tutti, per poi portarsi al centro della scena e rievocare un rito di rappresentazione che ha trent’anni, ma non li dimostra.

Chiudiamo il racconto della serata del 27 giugno con una breve, ma non debole menzione per il concerto che ha concluso la serata, quello di TIRGAN-FANTINI e CIRI. I primi due si incontrano nel 2022 per il progetto Rap (Requiem al poeta), performance di spoken word, spoken music e rap.

Il progetto arriva in finale al Premio Alberto Dubito 2023 e vince la menzione del Premio Inedito Colline di Torino, mentre CIRI è un artista rodigino che si è contraddistinto negli anni per aver spaziato tra rap/pop/house riuscendo a caratterizzare un suo modo di fare musica. Il suo ultimo EP MEMORY è il primo capitolo di un nuovo progetto.
La musica che ha riecheggiato sotto le due torri antiche della città ha avuto un sapore intenso, politico, duro, come deve essere il rap. Ben distinto e distante dal ciarpame musicale che passa in radio. Un atto contemporaneo, ma dal sapore d’altri tempi, quando il rap era linguaggio di lotta. Bentornato rap!

RIVOLTI

da un’idea di Mario Previato / MOMEC
con Fiorella Tommasini, Antonia Bertagnon
assistenza e cura Nadia Poletti
allestimento Fioreria Boscolo di Marta
assistenza tecnica Silvia Massicci
produzione Festival Opera Prima

TEATRO DA MANGIARE?

di Paola Barselli, Stefano Pasquini
con Paola Berselli, Maurizio Ferraresi, Stefano Pasquini
produzione Teatro delle Ariette 2000

JAGO

concerto scenico con pretesto occasionalmente shakespeariano per voce dissidente e musica complice

di e con Roberto Latini
musiche e suono Gianluca Misiti
luci e direzione tencnica Max Mugnai
produzione Compagnia Lombardi / Tiezzi

CIRI – TIRGAN/FANTINI

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