Quando nel 1956 il giovanissimo Michael Bongiorno, in arte Mike, portò sugli schermi nella neonata televisione pubblica italiana Lascia o Raddoppia, fu inaugurata anche nella videocatodica del nostro paese una pratica destinata a lungo e duraturo successo: la caccia al format. «Format», parolina inglese qui senza allusione al nostalgico comando DOS che ripristinava la virginea integrità dei supporti magnetici, altro non è che il brevetto di un programma televisivo, una sorta di prontuario certificato con le linee guida per la ricostruzione di uno show che in altri contesti riscuote successo, sottintesa l’aspettativa che, somigliandosi sempre di più i consumatori televisivi di tutto l’occidente, il gradimento di uno spettacolo sia trasportabile da luogo a luogo senza dispersione. Un format è, in altre parole, la merce di scambio del mercato radiotelevisivo internazionale, da cui le emittenti attingono a piene mani, o sborsando fior di quattrini per l’acquisizione di loghi di successo (da La ruota della fortuna a Il grande Fratello), o ripiegando sulla più economica, ma talora infruttuosa, copia carbone, pur di muoversi con attenzione sulla soglia del plagio.
L’Italia è tuttora tra i più forti importatori di format esteri: un continuo, univoco drenaggio dalle produzioni americane ed europee, che ha saturato i palinsesti di prodotti creati altrove, cui viene aggiunto quel tanto di casereccio nostrano, quell’aggiustatina di pecorino che li renda più adatti agli appetiti nazionali. Il risultato, nella maggior parte dei casi, è una stomachevole cucina creativa che ci ha dato in pasto il pudding all’amatriciana e le escargot alla milanese, per conto di un nostro particolare concetto di pop che accoppia la mediocrità esibita ad una logora quanto becera commedia dominata dagli stereotipi di classe e di provenienza geografica, nonché da un vigoroso sessismo.
Ben più ridotta è invece la produzione originale di format da esportazione di cui può vantarsi il genio italico: tra questi, ha destato l’invidia e l’interesse dei maggiori canali televisivi europei una nuovissima tipologia di talk show d’approfondimento, apparsa di recente, che sembra fondere la classica discussione politica con misteriose pratiche medianiche. Il format è presto detto: si prendono due esponenti della maggioranza, possibilmente ministri, e due deputati dell’opposizione, di preferenza uno cattolico, l’altro con radici comuniste; poi un giornalista di una testata invisa al governo, e un omologo che al contrario lo spalleggi; ed infine una showgirl a scelta tra quelle più immediatamente disponibili. Li si mette in tondo, a formare la popolare catena spiritistica, e s’attende con pazienza la fine della trasmissione, nominando più volte invano il nome del Premier; finché, tuonando come il Signore su Sodoma, il poltergeist del Primo Ministro non compare sotto forma di voce oracolare, riempiendo il vuoto di un’entimasia medievale col dettato del Verbo. Ed ecco servito lo spettacolo tutto italiano del potere ectoplasmatico, multiforme e liquido, che s’insinua nel tessuto connettivo della libertà d’espressione, che aborrisce e disprezza tutto ciò che non può ridurre all’unità con la seduzione del paradisiaco etere televisivo, dove il popolo si trasforma in pubblico e la democrazia si fa televoto. Parafrasando Lester, siamo ormai in presenza di fenomeni parapolitici incontrollabili.