Sul suo blog, il comico ha avviato da parecchio tempo una palestra di satira, in cui invita i lettori ad esercitarsi nella nobile e complicata arte della freddura epigrammatica: a tale scopo ha redatto un vademecum con i primi rudimenti di scrittura comica, poche e semplici regole per la costruzione di una battuta vincente. Tra i consigli citati, il più interessante riguarda la scelta dei referenti: una battuta, per quanto sottile e tagliente, non potrà mai essere apprezzata se l’ascoltatore non conosce ciò a cui ci si riferisce.
Sin dalle origini, la cultura comica orale e scritta ha dovuto fronteggiare il problema della comprensibilità immediata, intuitiva, da cui dipende l’esito di una risata schietta e sincera, e nel farlo, doveva attenersi a referenti chiari, largamente conosciuti, popolari, perché una battuta che ha bisogno di essere spiegata non è una battuta. Non è dunque un caso che la scrittura comica sia quella che più dettagliatamente ci rivela l’humus culturale dei ceti bassi di una società, in virtù del mescolamento di piani culturali che le è proprio: grazie a Plauto sappiamo dell’esistenza del greco schiavile, una forma di lingua greca comunemente parlata dagli strati bassi della società romana, per i quali non poteva risultare divertente il nome del soldato spaccone Pirgopolinice (“Distruttore di torri e città”) se non fossero stati in grado di capirlo.
La battuta di Luttazzi sulla flutolenza delle mosche, da me definita come innocua solo in apparenza, colpisce proprio in quel punto: calibrata con un doppio colpo magistrale, ha il vero affondo nella chiosa, che mette in discussione le capacità cognitive del pubblico, anche del pubblico che si autodefinisce colto ed elitario, che, nel migliore dei casi, si chiude e si accontenta del cliché del proprio status di teste pe(n)santi. In una sola riga, viene messa in discussione la percezione della cultura in Italia, il sistema scolastico e quello dei media, legati da un’occulta alleanza tendente alla neutralizzazione dell’intelletto. Se non è possibile distruggere la satira, forse sarà possibile fare in modo che essa non sia più compresa, ed i programmi comici di maggiore successo sono la cartina tornasole di questo stato di cose: attingono a tecniche minime di intrattenimento burlesco, tarate sul pube, sul seno, su scarse virilità e scarse avvenenze, e poco altro attorno, tormentoni imposti con la forza della ripetizione nauseante, e una presunta, millantata caratterizzazione dell’attualità, pur rifacendosi a stereotipi vecchi almeno di cinquant’anni.
Panem et circenses? No, semmai Hamburger et Colorado.