ANDY VIOLET | In una delle ultime scene del Simposio di Platone, un Alcibiade ubriaco irrompe nella sala dei filosofi: giovane e bello quanto spregiudicato, inizia a tessere l’elogio di Socrate lì presente, arrivando a desiderare di esserne sedotto pur di avere accesso alla grande sapienza nascosta dietro a quel volto sgraziato di satiro dal naso camuso. Bellezza in cambio di sapienza: uno scambio che Socrate non giudicò possibile, pur profittando delle attenzioni di Alcibiade, che non avrebbero però potuto mai raggiungere il valore infinito del sommo bene dell’anima.
Il Socrate di Platone era il primo, forte infrangimento dell’ideale della kalokagathia greca, la fine della convivenza forzata tra intelletto e armonia fisica, il primo dei quali, in accordo allo slancio metafisico della filosofia platonica, non poteva accontentarsi della bellezza individuale e transeunte di un corpo, ma anelava alla Bellezza nella sua totalità ed eternità.
Stesso struggimento, secoli dopo, avrebbe proiettato Leopardi sulla poetessa di Lesbo nell’Ultimo canto di Saffo, adombrando in esso il dramma della propria bruttezza, mentre sul finire dello stesso secolo Oscar Wilde sanciva in modo definitivo il binomio bellezza/malvagità ne Il ritratto di Dorian Gray, che, per quanto legato a doppia mandata al clima culturale dell’Inghilterra vittoriana, nel suo assunto fondamentale tracciava le linee guida dello sfacelo chirurgico dei nostri tempi, in cui Lord Henry Wotton si veste del nitore ospedaliero di un camice bianco, alla tela del quadro si sostituiscono le tricromie bidimensionali dello schermo televisivo.
Tuttavia, stavolta, la magia diabolica non riesce: la giovinezza in corpo di vecchio assume le forme grottesche dei pupazzi di plastilina, di identità perdute nel tentativo di riconquistarle. In questo panorama di delirio dismorfofobico, l’operazione recentemente attuata da Channel Five, che ha affidato per una settimana la conduzione del notiziario a James Partridge, presidente dell’associazione “Changing Faces” che riunisce e aiuta le vittime di incidenti sfiguranti, assume un particolare valore terapeutico per l’autopercezione dell’estetica televisiva. Il volto di Partridge, sfregiato da gravi ustioni all’età di diciotto anni, non è molto diverso, nella sua sproporzione, dalle facce tumefatte delle dive nostrane, idolatrate come icone di una bellezza metaumana, splendide splendenti, come direbbe una cantrice del bisturi quale Rettore. Come per il Socrate di Platone, a fare la differenza è ciò che c’è dietro il volto: un maligno fato per James Partridge, una volontà folle per greggi informi di donne bioniche, e, meno fortunati di Dorian, non basterà una pugnalata allo schermo per redirmerci da un patto scellerato.