ANDY VIOLET | Una caratteristica peculiare della cultura medievale era l’assenza di fantasia nel senso contemporaneo del termine. Se oggi classifichiamo come fantastico tutto ciò che è frutto di una splendida bugia condivisa, della quale ognuno gode nello stretto confine della propria immaginazione, senza aspettarsi, un giorno, di imbattersi realmente in un cavallo alato, in un unicorno, in un orco o in un gigante, a meno che non inciampi per caso nell’erba posticcia de La Melevisione, qualche secolo fa non v’era tutta questa sicurezza.
Era semmai vero l’esatto contrario: tutto ciò che poteva essere immaginato era dotato di un qualche grado di realtà, ed abitava una delle terre selvagge ed inesplorate che circondavano lo stretto mondo continentale, tripartito in Europa, Nord Africa e Vicino Oriente. Per uno scienziato medievale era cosa del tutto normale (e perché non avrebbe dovuto esserlo?) pensare alle Indie come patria degli Sciapodi, gli esseri da un solo piede, così come certa era la struttura del mondo ultraterreno quale veniva descritta da Dante. Tutta l’immaginazione, insomma, era fisica, materialmente sentita come attuale e vicina, e persino le visioni deliranti di coloro che oggi tacceremmo di disturbi schizofrenici venivano considerate come epifanie del sovrannaturale.
Le scoperte geografiche, a partire dalla data simbolica del 1492, riplasmarono enormemente il bagaglio di allucinazioni che l’incipiente modernità ereditava dal Medioevo: già l’Ariosto, accanto all’Etiopia, al Paradiso Terrestre e all’Inferno, introduceva come nuovo scenario la Luna, serbatoio del senno umano, anticipando di qualche decennio il grande slancio verso l’infinito operato dal telescopio di Galileo.
“Conosciuto il mondo/Non cresce, anzi si scema”, notava argutamente Leopardi nella Canzone ad Angelo Mai: la geografia odierna ha distrutto la quasi totalità dei miti annidati nel folto di foreste vergini e boschi iniziatici, e alla sua furia catalogatrice, fatta salva Atlantide, ben poco resiste.
E allora, l’esotico si fa giocoforza interstellare: l’immaginazione, mista a speranza, si proietta sul fondale ultramillenario delle stelle fisse, in cui albergano entità sconosciute, omini verdi dal sangue ricco di silicio, angeli spiumati che levitano sospinti da sofisticati retrorazzi. Da Star Trek al più recente Battlestar Galactica, da Voyager a Mistero, passando per i dettami della nuova epica siderale di Star Wars, il cielo illuminato da Apollo lascia posto al vuoto dimensionale e all’iperspazio, su cui gettare come ombre del teatro balinese i vaghi ed indisciplinati sussulti spirituali della nostra epoca.