ANDY VIOLET | andy_violetNel decimo libro delle sue Bucoliche, Publio Virgilio Marone si rivolgeva all’amico poeta Cornelio Gallo, personaggio poco noto della letteratura latina. Della sua produzione elegiaca, infatti, poco o nulla resta, se non preziosi frammenti, e qualche emistichio che Virgilio ha reimpiegato nei propri esametri. Più precisamente, Virgilio trasformò alcuni pentametri di distici elegiaci di Gallo in esametri bucolici, col chiaro intento di invitare l’amico ad abbandonare quella scellerata forma di poesia in favore di una più piena adesione al programma di rinascenza morale del princeps Ottaviano Augusto. La poesia elegiaca, infatti, che trattava spudoratamente di amori adulterini e ostentava indifferenza o disprezzo per le armi, contrastava nettamente con la riforma etica di Augusto, incentrata su una riattualizzazione dell’antico mos maiorum, la legge non scritta che tratteggiava i caratteri peculiari della dignitas romana.

Tuttavia, Cornelio Gallo subì una sorte più atroce rispetto ai colleghi elegiaci Tibullo e Properzio, semplicemente ignorati da Augusto: l’amico di Virgilio, infatti, subì un vero e proprio processo da parte del senato, che ne decretò l’esilio e la damnatio memoriae, la forma più alta di disprezzo. Applicata alla lettera, di Cornelio Gallo oggi non conosceremmo nemmeno l’esistenza: possibile che qualche verso d’amore abbia potuto procurargli una sorte simile? Ovviamente no: Gallo era stato anche collaboratore militare di Ottaviano durante la lotta che lo avrebbe visto ascendere come erede di Cesare, ma non essendosi uniformato alle mire assolutistiche del futuro imperatore, fu epurato dall’organico con l’accusa di congiura. A causa di ciò, Virgilio dovette profondamente modificare il decimo libro delle bucoliche, pur lasciando intatto il famosissimo emistichio del verso 69: Omnia vincit amor, “l’amore vince su tutto”.

In pieno Medioevo anglosassone, Geoffrey Chaucer, padre della letteratura inglese, ci descrive, nelle sue Canterbury Tales, la figura di una Madre Priora vezzosa ed elegante, dai modi nobili e accompagnata da due cagnolini nel suo viaggio verso il cenotafio di Thomas Becket, arcivescovo di Canterbury assassinato da emissari di Enrico II per motivi politici.
Sul medaglione della suorina campeggiava la scritta Amor vincit omnia, sintassi inversa del verso Virgiliano: più che un normale accesso di panfilia cristiana, di cui si colorarono nel medioevo molte parole del poeta latino visto come profeta dell’avvento del nuovo credo, la scritta, attribuita ad una donna monacata a forza come la Gertrude manzoniana, assume un ambiguo senso di lascivia, che lascia intravedere oscuri peccati della carne consumati nella discrezione dei conventi.
Intrighi di palazzo e sesso, attentati verso nemici politici e disegni di restaurazione imperiale o monarchica: il tutto, condensato in una sola frase, che nelle sue varie versioni, dal papiro allo schermo del computer, non smette di essere lo specchio antico, ma non offuscato, delle perversioni del potere.