ELENA SCOLARI| Al Teatro Verdi di Milano in scena uno degli spettacoli realizzati per il 150° dell’Unità d’Italia: Le camicie di Garibaldi, testo e regia di Renata Coluccini, prodotto da Teatro del Buratto. Fino al 13 Marzo.
Camicie rosso fragola, camicie rosso ciliegia, camicie rosso fuoco, rosso sangue. Le vediamo svolazzare fin dall’inizio dello spettacolo, come tanti sipari che si aprono a lasciar vedere La Storia. La storia di Garibaldi e dei Mille raccontata da quattro donne: quattro camiciaie che lavano, stendono, cuciono le divise e intanto chiaccherano, spettegolano di giovani belli e coraggiosi e rievocano avvenimenti legati alle imprese dei garibaldini.
Renata Coluccini, regista e autrice del testo, è in scena a impersonare l’unica figura realmente esistita, Antonietta di Pace, donna della borghesia impegnata politicamente per l’Unità d’Italia, il personaggio fa da raccordo tra il quartetto femminile, affiatato ma chiuso, e il subbuglio del mondo esterno, è infatti l’unica ad incontrare “il generale” durante il tempo dello spettacolo. Antonietta è pugliese di origine ma napoletana di adozione, Angiola (Clara terranova) è toscana, Caterina (una frizzante Benedetta Brambilla) è di Genova e la più anziana Michela (Jolanda Cappi) è la donna lombarda, a simboleggiare una rappresentanza delle regioni italiane.
Tutte e quattro parlano i dialetti delle loro terre, e questo è il principale problema dello spettacolo: nessuna delle attrici -tranne la Cappi- è davvero credibile nel recitare in una lingua che non è quella di appartenenza, questo crea una distanza tra la parola e il significato di ciò che viene detto.
In una scenografia (di Marco Muzzolon) semplice ma “calda”, fatta di fili per i panni, di secchi, di ceste e di decine di sgargianti camicie rosse, i racconti delle quattro donne non riescono a rendere con altrettanto calore la forza drammatica dei fatti. Fatti sempre e solamente narrati, la cui vitalità è smorzata dalle poche azioni sceniche.
Ne Le camicie di Garibaldi ci sono tante buone idee (molte più che in tanti spettacoli studiati a tavolino per un pubblico scolastico), ma non hanno il giusto respiro per essere veramente convincenti.
La scelta di creare un contesto tutto femminile è interessante, è giusto dare spazio alle donne che hanno attivamente partecipato ai moti ma non sono finite sui libri, la regista avrebbe però potuto osare di più: Renata Coluccini, la più carismatica delle quattro attrici, chiude lo spettacolo ascoltando la voce fuori campo del Generale, unico intervento maschile, che pronuncia il discorso del ritorno da Teano, peccato aver lasciato a lui l’ultima parola.