ELENA SCOLARI| Dal 9 all’11 Giugno 2011, teatri di Mestre, Venezia, Marghera – Una tre giorni di teatro in laguna, l’edizione numero uno del festival veneto Sguardi ci fa sbirciare tra le più interessanti compagnie del nord-est.
Ci siamo imbarcati subito di buonumore per questo festival/vetrina del teatro veneto: tre giorni a Venezia aprono il cuore, sempre.
“Sguardi”, quest’anno alla sua prima edizione dopo il felice numero zero del 2010 tenutosi a Padova, è stato organizzato dalla compagnia Pantakin sotto la direzione generale di Labros Mangheras del Tib Teatro di Belluno e una commissione artistica coordinata dal critico Andrea Porcheddu ha selezionato gli spettacoli da presentare. Nel complesso abbiamo visto un panorama interessante della scena teatrale veneta, a nostro avviso rimane ancora da affinare la stesura del cartellone a seconda che si scelga di selezionare davvero solo la qualità oppure mostrare lo stato dell’arte reale, con pregi e difetti.
Rispetto all’anno scorso, in questo Sguardi 2011 è stata più rilevante la presenza di spettacoli per ragazzi, settore che, ostinatamente, è costretto a rimanere sui palchi di retroguardia, nonostante sia il primo e importantissimo approccio che si ha con la disciplina, dovrebbe quindi essere addirittura più curato e seguito della prosa tradizionale, arte comunque non considerata di primo piano ma non proprio reietta. All’interno di questa categoria segnaliamo con convinzione ed entusiasmo la nuova produzione di Tam Teatro Musica “Picablo”, modernissimo esempio di teatro “multimediale”, come si usa dire, e perfetto esempio di coincidenza tra forma e contenuto. Un’avventura estetica dentro l’arte di Pablo Picasso: come i suoi quadri sono destrutturazioni di immagini, assemblaggi inaspettati di elementi conosciuti, così nello spettacolo i due performer – Falvia Bussolotto e Alessandro Martinello – si muovono in maniera continuamente nuova tra videoproiezioni di opere celebri (l’Arlecchino, il bambino con la palla, la colomba, fino a Guernica), su piani diversi per dimensione e profondità le immagini sono ritagliate e rimpicciolite o allargate fino a coprire l’intero sfondo. Pannelli di varie dimensioni accolgono le proiezioni con le quali i due interpreti interagiscono fino a sovrapporsi. Tutto ciò con un computer e una stazione Wii elaborata che permette di trascinare i personaggi e gli elementi dei quadri sul grande schermo con un solo gesto nell’aria. Finalmente un modo non accademico di mostrare l’arte e di entrarci dentro.
Dall’arte in senso stretto, di cui Venezia è casa per eccellenza, ancor più in questi mesi di Biennale, passiamo all’arte del raccontare e dell’inventare: Gigio Brunello ha portato al festival “Vite senza fine. Storie operaie di fine Novecento”, un eccezionale gioiello di teatro di figura in cui l’autore muove a vista le sue belle statuine, personaggi che diventano veri come persone, grazie all’abilità sincera del racconto. Una lunga tavola da sagra di paese rappresenta un quartiere operaio di Mestre. Ci sono la chiesa, le case, il filare di pioppi, il cinema all’aperto fatto muovendo le dita davanti ad un piccolo riflettorino, l’elettricista, il fattorino, l’architetto, l’ingegnere, il parroco… come in un bel libro di Guareschi o in un bel film sulla vita popolare di un passato caldo e pieno di umanità. Brunello muove le sue statuine raccontandocene il carattere, anima l’intero paese di storie che costruisce grazie alla meccanica, fulcro sia del contenuto (c’è un mulino i cui ingranaggi stentano a funzionare, una radio da riparare, un senaforo che non lavora…) sia della forma: carrucole, botole fili e pompette sono i trucchi che realizzano, per esempio, il “progetto per far piangere il santo patrono”. Un bellissimo mondo, questo.
In laguna sono approdati anche i Babilonia, ritenuti enfants maudits della scena italiana, con The end, buon testo sulla morte e sulla malattia, sempre infarcito di volgarità che ormai non scandalizzano più nessuno, ma comunque forte. Segnaliamo poi la sorpresa di Barabao Teatro, giovane compagnia alle prese con la mitologia, Aspettando Ercole è uno spettacolo riuscito, un vivace quartetto che usa bene maschere molto belle e sa passare dal registro comico a quello poetico.
Bello sguardo, da rendere ancora più acuto.