MARIA CRISTINA SERRA | A Saint Germain des Prés, un’esposizione inedita della corrispondenza privata di 50 grandi artisti, che tra l’Ottocento e il Novecento hanno segnato la storia dell’arte, ci rende partecipi dei segreti della loro creatività, dei sentimenti, pensieri ed emozioni. Al Musée des Lettrese et Manuscrits, fino al 28 agosto
Nelle lunghe giornate estive, camminare per i viali ombrosi dei giardini del Luxembourg o sedersi a prendere il sole sulle caratteristiche poltroncine di ferro battuto, smaltate in grigio-verde, ai bordi della grande fontana ottagonale, dove i bambini spingono con aste di legno le barchette a vela, emuli di un gioco antico e perenne, ci fa sentire la felicità a portata di mano. Vengono in mente le bellissime pagine con cui Ernest Hemingway in “Festa mobile” descrive i giardini e i suoi sentieri ghiaiosi, mentre fra gli alberi “il vento soffia chiaro e pungente” e le passeggiate letterarie fra il Quartiere latino e Saint Germain des Prés, dove visse gli anni giovanili “quando eravamo molto poveri e molti felici”.
Da sempre questo spicchio di città sulla Rive Gauche è stata zona di letterati, poeti, filosofi e studenti (la Sorbona è nelle vicinanze). Non stupisce allora che proprio al numero 222 di Boulevard Saint Germain, in un edificio hausmaniano, con un allestimento d’avanguardia, si trovi il curatissimo Musée des Lettres et Manuscrits, ideato e diretto dal grande collezionista Gerard Lhéritier, per il quale “una lettera è lo specchio della vita”, che ospita l’affascinante mostra “Des lettres et des peintres”.
Invece di seguire l’itinerario che Hemingway percorreva abitualmente, uscendo dal cancello principale dei giardini in direzione di St-Sulpice, dei Caffè Flore e Deux Magots, e della brasserie Lipp, imbocchiamo la lunga discesa di Rue Tournon, la via degli antiquari librari. Al numero 18, immobile nel tempo e negli arredi, s’incontra il caffè Bistrot Le Tournon, a pochi passi dal Senato. Fra il 1933 e il 1939 questo locale divenne il rifugio-atelier, dove Joseph Roth, romanziere “di confine”, fra i più grandi del Novecento (Giobbe, La Marcia Radetzky, Fuga senza fine), scriveva con la magia della sua penna, riuscendo a superare i confini ideologici, culturali, religiosi e politici di un’Europa scossa dall’umana violenza, tra una guerra mondiale che finiva e un’altra che si preannunciava (“un continente triste e ormai prossima alla morte”,osservava ). A differenza della sua “Leggenda del Santo Bevitore” (suo testamento morale), “l’ovattato abisso” dell’alcool, senza il quale, diceva, “sarei rimasto al massimo un buon giornalista”, non gli regalò una “morte lieve e bella”, e una targa d’ottone su una parete sta a ricordare quel tragico 23 maggio del ’39, in cui si accasciò sul suo tavolino di marmo, pieno di fogli vergati con cura e bicchieri di Pernod e Calvados svuotati.
Travagli di vita, riflessioni sull’arte, storie d’amore e d’amicizia, confidenze e debolezze delusioni e speranze, trapelano invece dalle corrispondenze private dei grandi pittori ,da Delacroix a Matisse e Cezanne, da Géricault a Magritte, Picabia e Dalì, passando per Monet, Gauguin, Manet, Van Gogh, Picasso, Braque e Mirò. Le loro calligrafie tracciano sulla carta disegni che ci rivelano tratti inediti della loro personalità. Scrive nel 1821 Géricault, con stile calligrafico ed elegante, venato di chiaro-scuri, all’amata Madame Trouillard: “Mi permetto di prostrarmi ai vostri piedi, perché voi siete una creatura divina e io non ne posso fare a meno, tuttavia esito, non certo a scegliere, che è facile: se per voi è possibile di trovare uno spazio per un fragile mortale, di scendere fino a lui ! Allora…..”.
In una lettera a Darcy confessa inquietudini e gioie, riflessioni sulla pittura inglese “che non si distingue se non per soggetti di paesaggi e marine”. La scrittura di Van Gogh è precisa, trasuda sensibilità, è ricca di disegni, con un’impaginazione perfetta. All’amico pittore Van Rappard, nel 1883, manifesta il suo interesse per la litografia e per la “bellezza del colore nero, un bel tono caloroso”, che accosta ai racconti di Dickens “uno scrittore unico, artista insuperabile di bianchi e neri”. E’ larga e chiara la scrittura di Chagall, che nel 1950 scrive a Prévert: “mio caro amico, quando leggo i vostri poemi mi sembra di vedervi e di parlare con voi”. E’ complice e conflittuale il rapporto fra Breton e Picabia, che nel 1947 esprime “l’amore per lo spazio immaginario, impalpabile”. Léger descrive dal fronte alla sua “Janot”, nel 1917, dettagli di vita quotidiana e le dedica un disegno con due innamorati abbracciati. Nel 1924 insorge, invece, contro la critica e la “mondanità effimera parigina, J. Cocteau, i balletti russi, le serate piccanti, le duchesse, gli snob”.
Parole e immagini anche per il “fauviste” Matisse, tratti dinamici e variazioni di toni e colori vivaci, contrapposti alla rigidità del “cubista” Picasso. Cortesi, osservanti delle convenzioni e delle regole gli scritti di G. Braque. Le lettere di Magritte rivelano un borghese tranquillo, e a tratti svelano “giardini segreti” e malinconica ironia. Renoir si lamenta con Mallarmé dei suoi acciacchi. Il solitario Cezanne si sfoga per l’incomprensione che lo circonda e si lamenta con Pissarro per il tempo “estremamente piovoso del Midi”. Nel 1885 Pissarro invita Gauguin, che si trova in Danimarca, a perfezionare il suo stile: “solo e libero da voi stesso troverete qualcosa di nuovo”.
Commoventi le pagine in cui Monet lancia fra gli amici pittori nel 1889 una sottoscrizione per l’acquisto dell’Olimpia di Manet, per offrirla al Louvre, così “da rendere omaggio e giustizia alla memoria del nostro amico”. Così come quelle di Manet nel 1870, che denunciano la fame e i patimenti di una Parigi, alla vigilia della Comune. Delacroix manifesta la sua ammirazione per Rubens, “che ha fatto il miracolo: mi ringiovanisce più delle terme di Plombières”. Kandisky e Delaunay teorizzano sull’arte. Dalì invita il poeta Paul Eluard a mangiare il pesce ad Arcachon. E’ una scrittura poetica quella di Mirò, che gioca con le assonanze di frasi e colori. Toulouse-Lautrec esprime alla madre l’entusiasmo per il soggiorno a Londra e la delusione per i “pranzi approssimativi in hotel e la chiusura dei negozi, dopo le sei di sera”. Piena di slancio ideale la lettera di Courbet al “caro e grande poeta” V. Hugo, nel 1864 ancora in esilio: “Voi l’avete detto, io ho l’indipendenza feroce del Montagnardo, malgrado l’oppressione che pesa sulla nostra generazione, malgrado la Francia di oggi, noi salveremo l’arte, lo spirito e l’onestà della patria”. Un grido di indignazione più che mai attuale.
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