not for saleMARIA CRISTINA SERRA | Un’insolita rassegna raggruppa opere simboliche delle più importanti gallerie d’arte parigine, sfidando il paradosso che “non tutto è in vendita” e svelando la sottile complicità che lega l’artista al suo mercante

Ci sono cose da cui per nessuna ragione ci separeremmo, perché in esse ci rispecchiamo, o riviviamo momenti significativi della nostra vita, o perché in loro abita una parte segreta di noi, che solo il nostro sguardo sa riconoscere in tutta la sua unicità.

All’inizio dell’estate, Jacqueline Frydman, direttrice del centro espositivo Passage de Retz, scrisse una lettera a 164 galleristi parigini, chiedendo loro di prestare fino alla fine di Settembre un’opera “speciale”, non in vendita, che rivelasse “tutto il rapporto di intimità che voi avete con essa e la consapevolezza e il piacere di condividerla per il periodo estivo con il pubblico”. Hanno risposto affermativamente 90 galleristi e ne è venuta fuori una mostra animata da una vitalità vibrante ed insolita.

Artisti tanto diversi tra loro hanno inconsapevolmente formato una trama di coincidenze, in grado di distinguere e riunire, senza barriere, stili, luoghi e periodi con emozioni di comune intensità. Una generosità “eclettica, aperta e impegnata”, confida Jacqueline Frydman, “che ha favorito una riflessione sulle diversità del nostro presente e a comprendere cha l’equazione arte=vendita non è la sola definizione che sta al fondo del commercio. Sapete come me che si acquista sempre anche un po’ dello spirito dell’opera e del suo autore”. Il cortile segreto del seicentesco Hotel particulier de Retz, che nella discreta stradina di Rue Charlot, nello storico quartiere del Marais, accoglie l’entrata alla mostra, appare già come il luogo ideale cui affidare in custodia un bene prezioso che racconta implicitamente di noi. E allora i percorsi da seguire diventano due, che intrecciano le loro convergenze e ci sfidano a trovare le nostre, raccogliendo il tracciato lasciato dagli artisti alle loro spalle come segmenti di una continuità, sempre nuova, e quello dei galleristi che accompagnano con le loro motivazioni e sentimenti i loro autori “del cuore”.

Le ariose, limpide pennellate, i delicati toni azzurri e rossi di Paul Signac (1931) di un incantevole acquarello della serie “I porti di Francia”, è un esempio di come spesso nel cuore “del gallerista il mestiere del mercante convive con la passione del collezionista”. Nuvole di polvere, sollevate dai Cavalieri arabi in corsa (di Adolphe Schreyer, 1880) si stagliano nell’ocra del paesaggio selvaggio, mentre un cielo denso all’orizzonte delinea i confini. Spirito cartesiano e delicate armonie sono racchiusi nel “Pont des Arts”, il primo ponte in ferro di Parigi, di Jean-Jacques René (2009). Dense e forti sono i colori stesi da Kirill Zdanevitch in piena rivoluzione russa. Il suo “Composition” del 1918, unisce forme curve e cubiche, delineando i grigi, i blu, i verdi e i mattoni dalle sfumature cipria con lucidi contorni neri. Va all’essenziale Albert Marquet (1910) con “Paris”, che allude al silenzio di un paesaggio industriale avvolto nelle nebbie, ma ricco di spazialità e d’interrogativi esistenziali, “contrariamente al suo grande amico Matisse, che ricercava il decorativo”.

La spiritualità della natura che si fonde con l’interiorità umana emerge nel groviglio di lampi rossi aranciati, lacerati dai chiari e immersi nei neri e nei blu cobalto di Wang Yan Cheng (2006) in “Derniers flux du soleil”. Il “Desert plat” (1946), luminoso contrasto di aranci, neri, verdi in sottofondo ocra di Man Ray è un “meraviglioso regalo”. Sembra alludere al mistero della vita e della morte lo studio per “La partie de cartes” di Balthus (1947). E’ un inno all’amore e alla gioia l’opera di Pierre & Gilles “Te souviens – tu d’un soir d’eté…”, per celebrare nel 2004 i dieci anni di attività dello “Spazio de Retz”, un luogo di incontri e confronti fra arte e culture, mai convenzionale o rituale. Il grande dipinto di Jurg Kreienbuhl che ritrae “Maurice e Boulon” seduti nella cucina della loro baracca con i toni rossi e cubi di un moderno fiammingo (fine anni ’60), è uno straordinario “pugno nello stomaco”, che racconta più di mille inutili parole l’alienazione della povertà e la vita estrema delle bidonville. “Dove collocare quest’opera?”, si domanda il gallerista Alain Blondel, “in un salotto, nella hall di una banca, di una multinazionale? Meglio attendere che un museo d’arte moderna la richieda anche fra cento anni! Allora si potrebbe venderla”.

Le evanescenti ombre pastello che raffigurano “La morte del duca di Guisa “, dipinto negli anni ’50 da Marie-Laure de Noailles, sembrano illustrazioni di una storia di Enry James, con quei toni che attribuiscono alle figure e alle illusioni una luce, che rende irrilevante il vero dal falso: un “portafortuna insostituibile” per i suoi proprietari. Il mistero e il senso di abbandono in cerca delle emozioni perdute emergono dalla grande tela di Wu Xiaohai: “24 hours daylight” (2008) ha il rigore del disegno in bianco/nero e la classicità delle forme. Un grande letto occupa lo spazio, tre figure vi si appoggiano, distanti, assorte “una luce laterale viene dalla finestra, come da una pittura antica”, che sia “gioco, riposo o amore? O semplicemente voglia di oblio?”. Il Pop astratto di Fiona Rae del 1997 in “Tomb Raider” unisce la cultura dei Manga alla pubblicità e al fumetto, in un sofisticato montaggio barocco che sprigiona sonorità. Il periodo realista/espressionista di Felix Del Marle con “La Yelouga” (1931) è di dissacrante ironia: l’informe ballerina, dalle rotondità rosa pesca, si esibisce in una danza futurista, nello scenario geometrico di immobili figure scure.

Arte e artigianato si fondono nelle figure, come archetipi di arte precolombiana, con la “Bucolique” (1982) di Roberto Matta. Non si sottrae ai dolori della vita e li accoglie, trasformandoli in impegno Joan Mirò che con “Aidez l’Espagne”, serigrafia del 1937 lancia il grido contro la dittatura imminente franchista. Ma vale anche per le minacce presenti e ci rammenta che uno dei compiti dell’arte è di farci spalancare gli occhi sulla verità.