RENZO FRANCABANDERA | Ad inizio c’è un signore, dall’aspetto rubicondo e amichevole che racconta come a Vienna o giù di lì nei secoli le usanze funerarie siano state contraddistinte da talmente tante vicende paradossali e grottesche da divenire piuttosto oggetto di riso e raccapriccio che di pietas per il defunto.
Alle sue spalle alcune diapo scattate in contesti cimiteriali della capitale austriaca, dove, si dice, i morti vengano seppelliti senza testa. O dove ci sia l’usanza di lasciare una targhetta con il numero di telefono del defunto per chiamate nell’aldilà. O dove a fine ottocento era stato avviato un progetto per lo spostamento pneumatico delle salme dalla città al cimitero, che si trovava in un sobborgo ad alcuni km di distanza.
Poco dopo a fare l’ingresso sul palco, preannunciato da un importante numero di sedie vuote, ecco l’intero gruppo bandistico di una cittadina sperduta della Lettonia, con tanto di maestro. Si accomodano e quello che era in origine un racconto per voce sola diventa un piccolo concertino polifonico, nel senso che a raccontare di storie comiche legate al rito funerario ci si mettono praticamente tutti.
Il lavoro che Alvis Hermanis presenta per l’edizione 2011 di VIE è un lavoro dal tratto leggero, per la gran parte ironico, che vuole guardare non solo alla morte e al rito religioso che l’accompagna, ma attraverso il rito funebre e il culto dei morti raccontare un popolo.
Kapusvētki reca come sottotitolo Graveyard Party. E’ la celebrazione dei defunti, il Graveyard Party appunto, che ricorre nei mesi estivi di Luglio e Agosto, giorni in cui il cimitero si trasforma in un giardino fiorito cui viene riservata una speciale cura da parte dei parenti dei defunti che vi si riuniscono mangiando, cantando canzoni religiose e facendo musica, spesso improvvisata.
Andato in scena nello scorso fine settimana al Teatro Storchi per l’edizione 2011 di VIE, Kapusvētki è un prodotto del premiato connubio fra Alvis Hermanis e il New Riga Theatre, su un testo scritto dallo stesso Hermanis con l’ensemble del Jaunais Rīgas Teātris. VIE ospita il regista per l’ennesima volta dopo i grandissimi successi di Sonja e By Gorkij, e poi con la coproduzione proprio di Emilia Romagna Teatro Fondazione de Le signorine di Wilko. Quello che propone Heramnis per questo lavoro è un tipo di narrazione abbastanza tipico della modalità narrativa ironica esteuropea, ma occidentalizzato quel tanto basta a rendere il prodotto spettacolare il linea con un gusto più occidentale, magari meno avvezzo ad asperità narrative balcaniche.
Dello spettacolo è parte centrale anche l’apparato fotografico di assoluto pregio, realizzato dal fotografo Mārtiņš Grauds, che ha raccolto un’ampia documentazione non solo nella sua terra ma in giro per il mondo di riti funebri.
Sotto la guida del maestro e insegnante di musica Ansis Nikolovskis alcuni interpreti del teatro hanno impartato alcune delle partiture classiche che le bande di paese suonano in occasione delle cerimonie che in quella terra, come detto, sono momenti altissimi di socialità, tanto che il camposanto diventa non di rado, a margine della ritualità commemorativa, luogo per incontri, pic nic e finanche flirt. E un piccolo pic nic ricorre anche nella partitura drammaturgica, con i suonatori che tirano fuori insalate, salsicciotti e uova sode.
Insomma si diventa tutti parte di un rito che viene inframmezzato da piccole esecuzioni musicali.
Il finale non manca di introdurre una piccola nota di pathos emotivo, scendendo pian piano dentro una personalizzazione del dolore che rimane però leggera, nello stesso momento in cui il racconto dei riti funerari si allarga a tutto il mondoe continuano a scorrere dietro la banda le oltre 500 foto scattate da Mārtiņš Grauds che registrano le celebrazioni avvenute nel cimitero di Riga, capitale della Lettonia ma anche in Messico e altre terre.
Leggera rimane tutta la creazione, anche se flette nell’intensità nell’ultima parte, per via di un’atmosfera sospesa che non arriva però al cambio di passo e a sviluppare a fondo la bella idea del rito corale. Pare che allo spettacolo manchi qualcosa, un colpo di coda, una trovata risolutiva e ulteriore che porti il tutto oltre l’intreccio facile e oltre la ripetizione di un modulo testo musica testo che invece continua per tutto il tempo fino alla fine. Appunto.
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