BRUNA MONACO | Elio Germano, Teho Teardo, Viaggio al termine della notte: una star del cinema e della musica si incontrano per raccontare un capolavoro della letteratura di tutti i tempi. Lo spazio fisico deputato a questo promettente incontro è il teatro, benché il Viaggio al termine della notte di Germano/Teardo, basato sull’omonimo romanzo di Loius Ferdinand Céline, proprio teatro non sia. Lettura scenica musicata dal vivo è la definizione che forse meglio si adatta a questo spettacolo. Gli artisti in scena sono tre: Germano alla lettura, Teardo chitarra e sintetizzatori, e Martina Bertoni al violoncello.
Non ci sono elementi scenografici sul palco, nessuna creazione illuminotecnica, solo i tre interpreti: Elio Germano è sulla destra del palco, seduto dietro una scrivania. Una luce da tavolo si accende quando parla. Quando tocca alla musica e la lettura si arresta, si spegne. Accanto a lui, su una sedia al centro della scena, Teho Teardo, (oltre che interprete, creatore delle splendide musiche). A chiudere il terzetto in riga, la violoncellista Bertoni. Da un punto di vista visivo lo spettacolo è statico, anche più di un concerto. Poco più di quaranta i minuti e nemmeno uno slancio verso il teatro, verso il movimento. Elio Germano di tanto in tanto alza le braccia nell’enfasi della lettura o scaraventa via un foglio dopo averlo accartocciato, ma la carica dello spettacolo è tutta concentrata sul sonoro, voce e musica. E qualche silenzio. A forte discapito della parte visiva.
Si sente la mancanza di una regia, di uno sguardo esterno che avrebbe potuto rendere questa lettura con musica uno spettacolo a tutti gli effetti, riequilibrando le istanze sonore e visive e dando più in generale omogeneità alla performance che, nonostante qualche momento di integrazione fra gli elementi, resta per lo più affossata in un’alternanza tra musica e parlato. Sottolineata e scandita in modo un po’ scolastico dalla luce da tavolo che non può concedere sfumature: o è accesa, o spenta.
La sintesi tra musica e letteratura attraverso il teatro, insomma, è riuscita solo a metà: il sentimento generale del pubblico all’uscita è di aver assistito a un buon concerto. E il capolavoro caustico, folle e contraddittorio di Céline sembra un pretesto, la musa ispiratrice delle musiche di Teardo. Forse perché le pochissime pagine estrapolate sono le più famose e nemmeno le più significative. Oppure perché, per quanto Elio Germano sia bravo, la sua non è certo la voce di Carmelo Bene e nemmeno quella di Roberto Latini. Non riesce ad andare oltre la lettura, una buona lettura, certo. Non penetra le parole, non le disossa fino a trasformarle in qualcosa di simile alla musica. Non si fa, insomma, connettore tra Céline e Teardo e garante di quella omogeneità che manca allo spettacolo.
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