ELENA SCOLARI | Le rassegne scolastiche offrono classici eccentrici e riflessioni sull’attualità: una carrellata su quattro spettacoli visti al Teatro Verdi di Milano e alla Sala don Ticozzi di Lecco.
La primavera è arrivata prepotente in queste ultime settimane, di solito segna il ramo declinante della stagione teatrale, ma prima che il clima morbido induca a godere del tepore serale all’aperto ci siamo dedicati ad un’incursione nei cartelloni di alcune rassegne scolastiche per gli istituti superiori, che spesso comprendono spettacoli adatti anche ad un pubblico adulto, che li può incontrare in tradizionali stagioni di prosa.
E’ questo il caso di Clitemnestra – l’altra donna, ultima produzione del Teatro del Buratto, per la regia di Renata Coluccini e Marco Di Stefano. Il lavoro è presentato sia in matinée sia in serale e sarà al Teatro Verdi di Milano fino al 5 aprile.
Tre attrici di bianco vestite ad interpretare tre personaggi archetipo della letteratura classica greca: Coluccini è Clitemnestra, Benedetta Brambilla Cassandra e Ylenia Santo Elettra. Gli uomini sono assenti e le parole su di loro sono tutt’altro che lusinghiere. L’idea portante è la rappresentazione femminile, intima e familiare di fatti mitologici e grandiosi. Un’Elettra adolescente e bulimica attende nervosamente il ritorno del padre dalla guerra di Troia, nel frattempo è lei che fa la guerra alla madre Clitemnestra, la quale smitizza il concetto eroico di Agamennone raccontando gli orrori e le viltà della battaglia, soprattutto rivelando le violenze contro le donne per quello che sono: una barbarie. Anche se a compierla sono i vincitori.
Al rientro dei soldati sarà l’indovina Cassandra, condannata a non essere mai creduta e fatta amante/schiava da Agamennone stesso, a testimoniare del crudele comportamento dei greci. Solo Clitemnestra le crede, e attuerà la sua tragica vendetta: assassinerà Agamennone per fare “giustizia” e obbedirà alla preghiera di Cassandra che vuole morire per poter dimenticare.
Tutto si svolge a casa della protagonista e tutto è visto con occhi di donne, agito con gesti di donne. E’ interessante un punto di vista completamente sbilanciato sul femmminile, che analizza il mondo attraverso le loro relazioni: rivalità, complicità, antagonismo, comprensione.
Le scenografie richiamano il teatro classico con due gradinate bianche dove le attrici parlano, dormono, mangiano, si scoprono. Al centro un frigorifero, elettrodomestico che costituisce il focolare ma che anche simboleggia Agamennone, col quale tutte e tre i personaggi hanno, diversamente, a che fare.
Abbiamo apprezzato l’asciuttezza e la modernità del linguaggio, sfrondato da ogni classicismo, troviamo invece meno azzeccata la modalità di attualizzazione resa, in buona sostanza, soltanto dalla presenza di un televisore che Elettra guarda compulsivamente mentre trasmette Ufficiale e gentiluomo. Questo solo elemento, insieme al disagio alimentare della ragazza, ci sono sembrati francamente superflui. A nostro avviso, il buon testo è strumento sufficiente a rendere attuali le riflessioni che emergono dallo spettacolo, la recitazione è sincera (tranne per Elettra che risulta forse un po’ troppo petulante) e la forza del mito arriva a noi ancora intatta grazie alle parole e agli argomenti, anche senza televisore. Non nascondiamo qualche perplessità anche sul frigorifero/Agamennone, senza averlo letto sulla scheda difficilmente ne avremmo intuito la simbologia.
“Assedio”, ispirato all’Iliade, della compagnia Mariano Dammacco, è un altro esempio di eccentricità di sguardo per rappresentare un testo che più classico non si può. Dammacco sceglie di richiamarsi ad un saggio della filosofa Simone Weil, che ipotizza il concetto di Forza come vera protagonista dell’Iliade, distribuita su tutti i personaggi del poema, non soltanto su Achille che ne rimane invece schiacciato. L’Achille di Dammacco (regista e interprete) è sotto assedio, la sua mente è assediata dalla follia della guerra, è un uomo reso fragile dalla continua esibizione di violenza, un eroe antieroe che vuole andarsene dal campo di battaglia e non vuole più essere indentificato e appiattito sulle sole idee di virilità e potenza. Una prospettiva inusuale e che permette un’analisi atipica e per questo avvincente del più epico racconto di guerra mai narrato. L’interpretazione sofferta di Dammacco tende a far sfociare la disperazione di Achille in un eccesso di lamento ma la compagnia è ben equilibrata e il risultato intelligente.
Il classico per eccellenza, Amleto, è messo in scena dalla compagnia Ippogrifo di Verona, in un allestimento definito dal regista Alberto Rizzi “balcanico”. Ci sarebbe piaciuto molto vedere Shakespeare in salsa Kusturica, sarebbe stato un modo originale di trasportare la Danimarca, ma i Balcani annunciati sono presenti solo in un paio di brani di Bregovic, usati (abusati?) come musiche di scena, per il resto l’Amleto di Rizzi è piuttosto fedele ma certo non nuovo. Questo spettacolo è quello che spesso si intende per “versione scolastica” di un testo classico, cioè uno strumento adatto a capire la trama del dramma per uno studio più facilitato, non memorabile per qualità di recitazione e ridotto del giusto perché degli adolescenti non si agitino troppo sulle poltrone. Unico spunto interessante di analisi, se si amano le interpretazione freudiane, è il personaggio di Orazio, travestito da orsacchiotto, a significare il rifugio d’infanzia e l’unico depositario della fiducia di Amleto.
Chiudiamo questo mini dossier con una nota su “Binge drinking”, ancora produzione Teatro del Buratto, stavolta uno spettacolo pensato specificatamente per i ragazzi, un testo sulla dipendenza sempre più giovanile dall’alcool, il titolo allude all’usanza di assumere più dosi di alcoolici in un tempo molto breve per poi godere dell’ebbrezza per il resto della serata. I tre attori (Stefano Panzeri, Elisa Canfora, Dario De Falco) sono tre credibili adolescenti, amici per la pelle, ognuno con un rapporto conflittuale con i propri genitori. Aspettano il sabato per dimenticare la scuola e la famiglia e bere. Bere per essere felici, bere per non avere più paura. Cappa, il Risu e il Rosso scandiscono la loro vita tra un weekend alcolico e l’altro finché non assistono alla morte del fratello minore del Rosso, che li scuote e li riscuote. Speriamo. La bella idea di scegliere la vittima al di fuori del terzetto dei protagonisti e un buon ritmo fanno di Binge drinking uno spettacolo che cattura profondamente l’attenzione dei ragazzi. Un cambio di stile e tempo di narrazione gioverebbe alla sottolineatura dei momenti più simbolici.