BRUNA MONACO | Si è da poco concluso a Palazzolo Acreide, in provincia di Siracusa, il XVIII Festival Internazionale del Teatro Classico dei Giovani che, insieme alla stagione del teatro greco di Siracusa, è un asse portante dell’attività della fondazione Inda. Novantadue le scuole che quest’anno sono state coinvolte nel progetto, per lo più secondarie superiori, ma anche qualche classe elementare. E ben quattordici venivano dall’estero: Francia, Belgio, Russia, Lituania, Grecia e altre.
Gli attesissimi Inni bacchici e danze tribali dei ragazzi della Tanzania non hanno purtroppo lasciato l’Africa per problemi burocratici, ma per l’anno prossimo sono previste scuole e spettacoli da oltre oceano. Una festa di portata internazionale in espansione, quindi, e non solo geografica: dai sei giorni della prima edizione nel 1991, si è passati oggi a quasi un mese di festival: dal 9 maggio al 4 giugno. E il ritmo è sostenuto: tre, quattro, a volte cinque spettacoli al giorno, in un teatro antico, patrimonio dell’umanità per l’Unesco, che non ha nulla da invidiare a quello di Siracusa.
Una grande esperienza per questi giovanissimi appassionati di classicità e teatro che, dopo un anno di laboratorio e ore di prove rubate non alla scuola ma al proprio tempo libero, possono infine mostrare le proprie creazioni davanti a un pubblico di quasi professionisti: coetanei e “colleghi” con cui condividono ansie e, soprattutto, passione. Qui non si tratta del saggio finale davanti a parenti e amici, si tratta di misurarsi con estranei – studenti, turisti, operatori – e con la monumentalità del teatro classico. Per scoprire che, dietro la patina di noia e distanza che ricopre tragedie e commedie, c’è il gioco dei giochi: il teatro. E che quel gioco aggrega e accresce come nient’altro, è scuola nel senso più alto del termine: un luogo di crescita e condivisione.
Nei vari spettacoli, gli approcci pedagogici e artistici si intrecciano secondo le più diverse combinazioni e con risultati a volte sorprendenti. La qualità media è infatti molto alta e in alcuni casi, addirittura, le proposte non sfigurerebbero sulle scene di norma calcate dai professionisti. Peccato che il passaggio dall’essere attori a spettatori è senza mediazione, e sia mancato un momento, uno spazio in cui i giovani si potessero riunire e riflettere insieme sull’intercambiabilità del ruoli del teatro: dalla scena alla platea, in ogni caso parte essenziale dell’opera teatrale. Al gioco, insomma, è mancata la sua controparte fondamentale: la riflessione sul gioco stesso, i modi di attuarlo e di assistervi.
Resta però che il Festival Internazionale del Teatro Classico dei Giovani e le iniziative analoghe meriterebbero più attenzione da parte degli addetti ai lavori, di studiosi e ricercatori. Da una realtà teatrale considerata marginale, come appunto è quella del teatro nelle scuole, c’è tanto da imparare. Per esempio, che l’arte non è detto che nasca sempre dove la si aspetta, ovvero dove si afferma di produrla. E che l’innovazione è impossibile senza vitalità e desiderio di rivolta, qualità facili da perdere nella vischiosità del sistema, eppure ancora intatte in quei ragazzini che per la Morante avrebbero salvato il mondo. Sarebbe salutare uscire un po’ dall’asfissia, dal gioco di specchi artisti-produttori-critici, e tornare alla fonte: al rapporto col pubblico. E quale pubblico migliore degli studenti che, se anche ci ostiniamo a non considerare come attori sulla scena del presente, lo saranno di sicuro su quella di domani?