MARIA CRISTINA SERRA | L’inesauribile desiderio di trasformare la realtà in un prodotto dell’immaginazione, fondendo la vita stessa in una perenne esibizione artistica, si fusero così a fondo in Dalì che è quasi impossibile scindere la sua biografia dalle sue produzioni, come mette in rilievo la mostra “Salvador Dalì, un artista, un genio”. La sovrapposizione surrealista, traboccante di motivi barocchi spagnoleggianti delle sue opere si intreccia con la sua personalità narcisistica, in continua provocazione con il mondo, proiettandoci in un universo popolato di acrobazie fantastiche e paure primordiali, simili a “fotografie di sogni dipinti a mano” in bilico fra sublime e superfluo, in una scenografia dell’assurdo in cui ogni paranoia è sistemata in una casualità ragionata. Così da introdurci al suo “metodo paranoico critico” di conoscenza irrazionale i cui le “associazioni e le interpretazioni dei fenomeni deliranti” trovano una sistemazione nel pensiero dialettico.
Il viaggio nel misterioso e scabroso realismo fantasmagorico dell’artista ha il suo preludio in bianco-nero lungo un corridoio scuro rivestito ai lati da gigantografie della serie “Dali’s mustache”, scattate dal geniale ritrattista Philippe Halsman, al quale lo legò un sodalizio artistico durato oltre 30 anni. I sapienti giochi di luce, l’ironia, l’anticonvenzionalità del grande fotografo (nel 1942 lo ritrasse nudo, rinchiuso all’interno di un uovo,simile ad un embrione), sono speculari al carattere istrionico e narcisistico dell’artista catalano. I contrasti audaci, le pose bizzarre sollecitano la fantasia di Halsman, che “annoda” con il filo sottile dei celebri baffi (tributo a Velasquez) un racconto irrituale e fedele all’originale.
In una saletta adiacente, come fosse una camera oscura dotata di monitor, si diffondono i filmati delle sue teatralizzazioni, traboccanti di vitalità : rappresentazioni della società consumistica dal bulimico bisogno di nutrimento “la ben nota, sanguinolenta e irrazionale cotoletta ai ferri, che ci divorerà tutti”.
La sequenza dei temi da lui prediletti prende l’avvio con “Autoritratto dal collo lungo di Raffaello”, opera giovanile del 1921 e omaggio a uno dei suoi maestri, velato di malinconia in arancio, indaco e violetto, sullo sfondo del natio villaggio di Codaques. Dalì scavava sempre nelle proprie memorie per riportare alla luce luoghi familiari, incubi o legami profondi.
Così nella “Figura alla finestra sulla baia”, la morbidezza della modella (la sorella Anna Maria sorpresa di schiena) nasconde un sottile erotismo (motivo che in seguito diventerà ossessivo) che fa da contrappunto alla quiete dell’atmosfera estiva. La calda luce mediterranea accoglie le “Bagnanti nude di Llane”, ammucchiate sulla spiaggia con un’armonia costruttiva che rievoca l’unitarietà dello spazio di Cézanne. Le bellissime illustrazioni all’autobiografia di Benvenuto Cellini e al Don Chisciotte evidenziano le sue raffinate doti di disegnatore.
La “Madonna di Port Lligat” ha per protagonista Gala, sua inseparabile modella e compagna: l’ambientazione rinascimentale è un tributo a Piero della Francesca. Nell’azzurro statico del cielo, interrotto da elementi architettonici frammentati e sospesi nel vuoto, una conchiglia e un uovo galleggiano sul capo della donna amata in un equilibrio misterioso (rivisitazione della celebre Pala di Brera), mentre intorno elementi rituali si mescolano a nuove ossessioni come forze che si attraggono e si respingono in simmetrica composizione.
“Singolarità” è un delirio rosso che trasferisce in una scenografia dell’assurdo forze arcane, ancestrali, contraddittorie, in strane associazioni, pescate negli archetipi del pensiero.
“Impressioni d’Africa” è un paesaggio di memorie sensoriali, immerse in un’atmosfera crepuscolare, carica di segnali (celati da un ambiguo realismo) che rilevano concatenazioni illogiche di mondi paralleli. In primo piano, a sinistra, il pittore seduto allunga la mano per afferrare l’attenzione dello spettatore e condurlo nei labirinti della tela.
Qui, come anche nel piccolo gioiello “Lo spettro del sex appeal”, incastonato in una cornice importante è la cura minuziosa del dettaglio, da fine cesellatore, a farci scoprire le doti tecniche dell’artista. Le imponenti scogliere rossastre della Catalogna, come una geografia dell’anima, sono il palcoscenico naturale su cui si dipana il suo destino. Da queste visioni si svela il suo Metodo, come formazioni geologiche “mutevoli, enigmatiche, ambivalenti, simulatrici, camuffate, vaghe e concrete, senza sogno né rabbia, misurabili, oggettive, materiali e dure come il granito”. E in un angolo, minuscolo, l’eterno bambino osserva la mostruosa figura acefala dal ventre e dai seni deformati sorrette dalle grucce, puntello dei suoi deliranti viaggi interiori.
Si procede un po’ a tentoni, nonostante la forte illuminazione delle sale (una luce più soffusa avrebbe favorito una maggiore intimità percettiva) per soffermarsi sulla poetica “Coppia con la testa piena di nuvole”, due silhoutte profilate d’oro (Gala e Salvador) che racchiudono due delicati paesaggi, “apparecchiati” di simboli su linde tovaglie, sovrastati da un cielo nuvoloso in coincidenza delle teste.
“In quanto il più generoso di tutti i pittori, io mi offro continuamente come cibo e servo alla nostra epoca da eccellente nutrimento”, scriveva Dalì; e se sotto il suo pennello gli orologi ( “il tempo è la dimensione delirante e surrealista per eccellenza”) si deformano in materia molle, anche il suo “Autoritratto con pancetta” si liquefà in una ripulsiva, inafferrabile sostanza gelatinosa .
Il cinema fu una sua grande passione: “Il Surrealismo lì diventa realtà”, sosteneva fin dai tempi della collaborazione con Bunuel a “Un chien andalus” e “L’age d’or”. Negli anni ’40, segnati dal declino creativo e dall’espulsione dal movimento surrealista, la collaborazione con Hitchcock (“Io ti salverò” ) e poi con Disney per il magnifico cartone animato “Destino” (visibile in un piccolo monitor a fine percorso ma con un ’audio carente e coperto dallo scalpiccio dei visitatori sul parquet), sembrarono favorire la sintesi a tutte le sue più geniali fantasie.
A conclusione della mostra, come testimonianza dell’amore che aveva per l’Italia, le foto dei suoi soggiorni, il filmato nel parco “dei mostri”di Bomarzo, i progetti realizzati con Visconti e quelli rimasti come sogni nel cassetto con Fellini. Insoluto, invece, rimane il quesito già a suo tempo sollevato da Breton: “Dalì un uomo sempre esitante fra genio e talento, vizio e virtù”, a cui Dalì rispondeva: “Ma io cercavo sempre il cielo, attraverso la consistenza della carne, sconcertata e demoniaca della mia vita”.
un reportage sulla mostra – web tv della Luiss
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=pU7ikvqHOt4]
Il sogno – scenografia di Dalì
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=NHpMAvy71rA]
Un video di Walt Disney dedicato al lavoro di Dalì
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=CcRvyZfTI8o]