Ritratto-di-E-AtgetMARIA CRISTINA SERRA | Stretto all’angolo fra le animate rue de Francs-Bourgeois e rue de Sévigné, un austero portone introduce attraverso uno splendido, silenzioso giardino, ai fasti del rinascimentale Hotel Carnavalet, consacrato alla storia di Parigi dalle origini al XX Secolo, che tra quadri, oggetti, arredi, plastici, ricostruzioni di ambienti e memorie del passato, insieme a manoscritti e carte, custodisce fondamentali documenti sulla Rivoluzione giacobina.

Per sottolineare l’importanza delle fonti d’archivio e celebrare l’opera e l’originalità di uno dei padri della fotografia una preziosa mostra antologica su Atget (fino al 29 luglio) ci invita a sfogliare le pagine ingiallite, ma immortali, degli album di un artista di strada nativo di Bordeaux (già attore fallito di provincia, pittore mancato, instancabile flaneur di ogni angolo della città), scopritore della realtà urbana spogliata di ogni sovrabbondante orpello, nell’intento di imprimere e catalogare la nuda realtà con l’occhio fedele e disincantato dello storico, rendendo ogni immagine catturata un documento unico.

Come un venditore ambulante, girava instancabilmente con la sua pesante macchina fotografica in legno, a soffietto 18 x 24, munita di treppiede e di lastre di vetro, deciso a documentare ogni forma di vita sopravvissuta alla razionalizzazione della revisione urbanistica del barone Haussmann. Andava alla scoperta delle atmosfere e delle antiche abitudini; registrava le trasformazioni storiche e valoriali di una società che progressivamente, tra l’Ottocento e il Novecento, modificava i suoi stili di vita in nome della modernità. Sono le cose minute ad attrarre l’attenzione di questo poetico precursore della fotografia surrealista e di quella umanista, poi. Riprendeva gli uomini e le donne comuni, i bambini, la fatica di vivere, gli umili lavori di strada, le piccole botteghe, gli oggetti ammucchiati o allineati in file ripetute, gli interni disadorni, i cortili nascosti, le insegne sui muri, i batacchi e i mascheroni dei portoni, le terrazze dei caffè spogli di clienti, le entrate dei bordelli, i giardini animati da statue di marmo o da alberi rinsecchiti dal gelo, gli angoli di strade dalle insolite prospettive.

Tutto ciò che è anonimo diventa sotto l’obiettivo di questo “artigiano” timido, riservato, solitario, che quasi viveva nell’ombra, improvvisamente luminoso, affascinante ed unico. E come accade per i film muti, con sottofondo di note stonate diffuse da un piano scordato, che mai smetteranno di incartarci, le sue immagini un po’ sfocate ci conducono in sentieri inesplorati, alla ricerca di istanti perduti, che non sapevamo di poter ritrovare dentro di noi. L’estrema precisione dei suoi particolari, che mentre liberano la vista dal superfluo, amplificano il dettaglio dell’essenziale, restituendo nobiltà al sottinteso e al nascosto, rappresenta la chiave di accesso al suo mondo enciclopedico e bizzarro, suddiviso per voci in maniera intransigente. ”Egli perseguiva gli elementi dimessi, spariti, svaniti, e così le sue immagini si rivoltano contro il suono esotico, pomposo, romantico dei nomi; risucchiano l’aura dalla realtà, come l’acqua pompata da una nave che affonda” , così con queste lapidarie, monumentali parole, lo descriveva W .Benjamin.

Per sopravvivere, vendeva i suoi scatti per pochi spiccioli ad amatori occasionali, a piccole botteghe fotografiche, a decoratori e scenografi, a chiunque necessitasse di avvalersi dei suoi ”documents pour artistes”. Poi, nel 1898, iniziò a vendere alle collezioni pubbliche e ai musei le sue foto. Ma fu solo nel 1921 che il suo lavoro ottenne dei riconoscimenti, grazie all’incontro con Man Ray, affascinato dai suoi nudi di prostitute e dalle surreali composizioni di manichini e oggetti nelle vetrine, dalle insolite inquadrature. Ma fu la sua assistente, Berenice Abbott, la vera scopritrice nel 1925, che dopo aver acquistato un gran numero di negativi, realizzò su di lui saggi e libri fotografici, ritraendolo poi nel ’27 (poco prima della morte) come un personaggio epico, uscito dalle pagine crepuscolari di Victor Hugo: curvo e avvolto nell’ abituale pastrano nero.

E’ un luogo dello spirito la città che lui racconta con straordinaria precisione tecnica, velata da una nostalgia agrodolce e attraversata da un tempo che fugge. Le silhouette delle case, all’angolo fra le rues de la Seine e de l’Echaudé, si stagliano nell’aria, tagliando il cielo; i carretti rimangono abbandonati nelle corti del ghetto, in rue des Rosiers; dentro la vetrina di un antiquario a Faubourg Saint-Honoré le immagini scorrono con dissolvenze incrociate. E’ un racconto denso di poesia il ritratto, nel 1898, della piccola cantante di strada che come un “passerotto” si appoggia all’organetto (quasi una preveggente visione di una Edith Piaf adolescente). Come in un gioco prospettico il pavé chiaro di rue Lepic, a Montmartre, viene infranto dallo spaesato venditore di abatjour. E’ invece corpulenta e arcigna la venditrice di ostriche, seduta davanti all’entrata della brasserie. E’ una Parigi vulnerabile, avvolta nella nebbia e nel mistero quella dei lungo-Senna verso Notre-Dame.

La Conciergerie getta un riflesso sinistro sulle acque sottostanti. La basilica del Sacré-Coeur è fotografata dal retro, seminascosta dalle case. La chiesa di St.Etienne-du-Mont si profila in controluce fra le insegne dei negozi.La Galerie Viviennesi specchia nel silenzio dei suoi marmi traslucidi; spettrali appaiono i saloni degli Hotel particuliers, come abitati da fantasmi. Sembrano quadri di nature morte fiamminghe i banchi dei mercati rionali

Sono concrete, invece, le immagini delle fortificazioni militari, “Les Fortifs”, dismesse alle porte di Parigi, con le catapecchie e i laboratori improvvisati degli straccivendoli, gli “chiffoniers”, e gli insediamenti del sottoproletariato: immagini e testimonianze dell’insalubrità dei luoghi, della precarietà della vita e del lavoro schiavistico, senza scadere mai nell’emotività gratuita o nella commiserazione. Un’umanità povera, reietta, ma dignitosa, che si metteva in posa con i bambini sorridenti, consapevole che attraverso l’obiettivo di Atget sarebbe entrata nella storia, colmando per un attimo fuggente le disuguaglianze alle quali la vita l’aveva confinata.

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