MARIA CRISTINA SERRA | Come un racconto itinerante che attraversa le colline di Montmartre e Monparnasse, la mostra “La collectione Jonas Netter – Modigliani, Soutine” alla Pinacothèque ha ripercorso le storie artistiche e private dei pittori che hanno ridisegnato il ‘900, coniugandole all’avventura dei collezionisti che determinarono le tendenze della modernità. Accanto ai famosi mercanti d’arte, come Vollard, Durand-Ruel, Rosemberg, Guillaume, Alexander e i fratelli Stein, vengono alla luce figure decisive rimaste a lungo in ombra. La lunga estate parigina, ormai entrata nell’autunno, ci ha fatto rivivere così l’atmosfera della vita bohèmienne, sospesa fra la “Butte” e la “Ruche”, fra la “Rive gauche” e la “Rive droite”, ci ha invogliato a vagare per la città sulle tracce dei luoghi rievocati dall’expo alla ricerca di piccoli scorci e immagini ancora preservate dal tempo. Lo spirito dell’epoca e lo straordinario mondo di Leopold Zborowski e Jonas Netter, raffinati conoscitori d’arte, più mecenati che galleristi, sono stati ricreati nella suggestiva messa in scena al Musée dela Madeleine, attraverso un originale percorso tracciato dalle pennellate di Soutine, Suzanne Valadon, Utrillo, Derain, de Vlaminck, Antcher, Krémègne, Ebiche, Hayden, Modigliani.
Spicca, singolare, la personalità di Netter, nato nel1866 inuna famiglia dell’alta borghesia ebraica di Strasburgo, brillante pianista e collezionista per vocazione. Uomo discreto, di grande sensibilità e rigore morale, in perenne conflitto con un mercato in piena espansione e mutazione, interessato più all’amicizia con i suoi pittori che al denaro. Nel 1915 acquista il primo quadro di Modigliani: ed è subito colpo di fulmine! Più difficile sarà il rapporto con il solitario, ribelle, Chaim Soutine, ebreo orientale di Minsk, giunto ventenne a Parigi nell’11 per sfuggire ad un destino di miseria e violenza, tra pogrom e ghetti, crudeltà familiari e soprusi della sua comunità. Protettivo fu invece il legame verso Maurice Utrillo, eterno fanciullo disincantato, smarritosi fin dall’adolescenza nei fumi dell’alcol, simbolo dell’artista bohèmien di Montmartre, in cui creatività e dissolutezza si fondevano in modo sublime.
Léopold Zborowski, di origine polacca, poeta mancato e uomo brillante, volubile, amante della mondanità, “marchand en chambre” squattrinato, stringe con Netter un vero e proprio sodalizio professionale all’insegna del comune ideale per “una cultura rivolta a tutti”. Se gli Stein e i loro salotti si dividevano tra Matisse e Picasso, Netter e Zborowski scommettevano sui talenti dei “Maudits” e sui destini più incerti. “Ho incontrato un pittore che vale due volte Picasso”, confidò il polacco nel ‘16 alla moglie, parlando di Modì.
Spaziando attraverso una modulazione di piani incrociati fra Arte e Vita, l’allestimento si snoda con linearità. Sono i luminosi e pastosi cieli chiari di Utrillo, il grigiore luccicante delle strade dal pavè sconnesso, gli edifici disposti in geometrie perfette ed armoniose, ad introdurci negli scenari urbani della quotidianità popolare parigina del tempo. Può essere un lampione, un filare d’alberi, una cancellata o la scalinata di Rue Muller a Montmartre, a definire la profondità della prospettiva. I toni spenti di una freschezza sorprendente si accendono dopo il 1907 di tocchi turchesi, verdi, dorati, vermigli, le linee si fanno più nette e gradualmente negli anni le regolarità si accentuano. Una leggerezza e un equilibrio stilistico sotto cui covava un’anima instabile, tormentata (tentò tre volte il suicidio, subì l’orrore del manicomio e la derisione del nomignolo “Le fou dela Butte”). Alle sue tele si contrappongono quelle di Suzanne Valandon, madre adorata e sua prima maestra. Paesaggi fauves dai colori brillanti, nudi dalle forme solide e sensuali, che si staccano nettamente dai fondi scuri o dai drappeggi arabescati. Una pittura piena di vitalità ed energia, a tinte forti, che la rispecchiano. Figlia poco amata di una lavandaia e di padre ignoto, modella a quindici anni negli atelier degli Impressionisti, spinta dal desiderio di riscatto sociale, apprese velocemente da Renoir, Toulouse-Lautrec e Degas i primi insegnamenti sull’arte e sulla vita. Per Derain, invece, i colori erano “cartucce di dinamite”, pronti ad esplodere in schegge incandescenti dai toni scuri, ben bilanciati, come nelle “Grandes Baigneuses”: sintesi perfetta della lezione di Cézanne e dei paradisi esotici di Gauguin. Gli fa da contrappunto la sanguigna pittura infarcita di note “popolari”, anarcoidi, di De Vlaminck, evocanti nordiche atmosfere e orizzonti sconfinati, estranei “alla disciplina da caserma del cubismo che mi ricorda tanto mio padre”, scriveva.
La raffinatezza estetica e le verità nascoste dell’animo, le brucianti passioni e gli squilibri interiori, sublimati in forme melodiose e nitide da Modigliani sono come sempre folgoranti. Il ritratto malinconico della “Fillette en bleu”, la bambina dagli occhi turchini che come un angelo offeso sembra racchiudere nello sguardo innocente e nelle braccia serrate i segreti delle cose, s’illumina nel chiarore circostante, interrotto solo per la lieve ombra e la concretezza del nero sui capelli e le scarpe. L’enigma dell’esistenza frantumata di Modigliani è speculare al ritmo della sua pittura di intima spiritualità e languida carnalità. Meravigliosi i suoi ritratti affusolati di donne, sembrano fluttuare in un’altalena infinita di sentimenti, tra la pienezza dei volumi e il gioco elegante dei contorni. Quelli di Jeanne Hébuterne parlano di lui e di un amore esclusivo, silenzioso, dannato, imbevuto di lacerazioni sparse nella ragnatela di sogni e delusioni, consumati senza corruzione.
Jeanne “Jeune fille rousse”, i capelli sciolti ad incorniciare il pallore del viso, ha i colori caldi della sensualità, ”Jeanne au hennè”, animata da soffici riflessi di luce, posa le mani sul ventre a difesa dell’evidente maternità. L’apparente malinconia suggerisce la possibilità di una felicità, che da lì a poco però svanirà in una doppia tragedia.
Soutine è un’esplosione di emozioni, ossessioni, disfacimenti, passioni devastanti. Fino al 21 Gennaio, all’Orangerie (Chaim Soutine – L’ordre du chaos), si potranno ammirare in una retrospettiva 70 delle sue opere, suddivise fra paesaggi, nature morte e ritratti. E’ il rosso febbrile a dominare i suoi quadri espressionisti, insieme al bianco accecante e ad un’orchestrazione di verdi, blu e gialli assordanti. Sono le carcasse oscene degli animali scannati, simboli emblematici di barbarie infinite a farci sussultare. Le interpretazioni deformanti di strade, case, alberi, attraverso il prisma emozionale del suo furore, ci rivelano il suo stile e il carattere complesso e travagliato, scisso fra remote barbarie e lancinanti tenerezze. Spezza la notte “la Fillette”, stretta nell’arancio della veste e nella fragile innocenza. La “Folle” (una semplice contadina) con lo sguardo stralunato e le grandi mani nodose posate sulle ginocchia, quasi possedessero vita autonoma, sostituisce ogni parola possibile per farci capire la doppiezza della realtà e i tanti equivoci dell’anima.
Un video sulla mostra e un reportage in due video su Modigliani a Parigi
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