ELENA SCOLARI |  Al Teatro Arsenale di Milano Jacob Olesen mette in scena “Ho servito il re d’Inghilterra”, il delicato testo del ceco Bohumil Hrabal.

Un cameriere piccolo e molto sveglio riesce ad essere assunto all’Hotel Parìz di Praga l’11 ottobre 1936. Bohumil è il suo nome, ha il complesso della bassa statura e tiene la testa alta nella speranza che il collo gli si allunghi. E’ buffo, umile, svelto e molto poetico. Jacob Olesen, attore svedese e per niente basso, in livrea, è un ottimo interprete di questo personaggio creato dallo scrittore ceco Hrabal. La leggerezza e la maestria di movimento imparate in anni di scuola clownesca sono l’abito giusto per il piccolo Bohumil, ma anche per tutti gli altri ruoli che Olesen interpreta in questa pièce: il cameriere ha a che fare con il suo maître di sala, con il padrone e vari clienti dell’albergo, con il re d’Etiopia, con una prostituta, e infine con i nazisti.

Numerosi esilaranti episodi sono raccontati e “mimati” dal protagonista, in un allegro stile demodé che ricorda i film muti e le comiche di una volta. Citiamo tra tutti l’irresisitibile vendita di wurstel ai passeggeri di un treno in partenza che non riescono ad ottenere il loro resto e la descrizione della pantagruelica cena organizzata presso l’Hotel Parìz per il monarca etiope: vengono serviti cammelli farciti di antilopi farcite di tacchini farciti di pesce farciti di uova in un susseguirsi incalzante di ripieni e inciampi ridicoli.

L’autore ha messo un po’ di sé in Bohumil (Jan Dite nell’originale), soprattutto l’essere persona anticonvenzionale e l’aver fatto molti mestieri diversi, tra cui proprio il cameriere e perfino l’imballatore di carta da macero ricavata dai libri censurati dal regime comunista.

Il libro di Hrabal è ambientato negli anni che precedono l’invasione di Praga da parte dei nazisti fino all’arrivo del comunismo negli anni ’50. Il nostro cameriere non sembra preoccuparsi troppo del contesto storico e dei fatti di cronaca, finché la tragedia non copisce anche lui e la sua amata moglie.

Lo spettacolo vede in scena il solo Olesen che ci porta, linguisticamente parlando, in un’atmosfera altra grazie al frequente utilizzo di lingue per noi straniere e pressoché incomprensibili, danese e svedese, i brani così recitati focalizzano l’attenzione dello spettatore sul movimento, sulla gestualità e capiamo comunque bene cosa sta succedendo grazie alla mimica.

Il lavoro è senz’altro una buona trasposizione del romanzo, possiamo forse esprimere qualche perplessità per la scelta registica di Giovanna Mori e Giovanni Calò che segna l’inevitabile differenza d’effetto tra la straripante prosa di Hrabal e questa traduzione teatrale, più asciutta e meno travolgente.

“Il mio nome è Bohumil” è un’ora di teatro piacevole, il tono rimane forse eccessivamente naif ma troviamo comunque che ci sia bisogno di storie che raccontino anche anni drammatici della Storia attraverso la lente dell’arte, non dai soli documentari è alimentata la memoria.