RENZO FRANCABANDERA | Come una consumata compagnia d’attori, seduti al tavolone a provare il nuovo lavoro. Con questa visione si apre l’allestimento, la rilettura che Elio de Capitani sta riproponendo in questi giorni al Teatro dell’Elfo di Milano de Il ritorno di Orfeo di Tennessee Williams. A dichiarare subito il confine fra falso e vero, a svelare la macchina scenica, gestita per la gran parte dall’interno, con luci e musiche eseguite sotto gli occhi degli spettatori, sul palco.
Come a dire, guarda com’è falso quello che sto facendo, ma anche come è dannatamente vero, assoluto. Si perché se la scena è povera e scarna fatta eccezione per un grande telo trasparente decorato con tecnica informale da fine anni 50-inizio 60 americana, i costumi (anche questi oltre alle scene di Carlo Sala) riportano più chiaramente a quell’epoca. E’ in quest’epoca che si rituffa come Michael J. Fox in Ritorno al futuro, un bello e tormentato, una specie di James Dean della situazione (Edoardo Ribatto), che provato dalle vicissitudini della vita prova a rintanarsi in una botteguccia di paese, per sfuggire al suo destino.
Ammaliate da questa presenza così fuori dai canoni, le donne di paese affollano il negozietto. Prototipi di un’umanità di paese, come possono venire in mente: le due amiche racchiette e pettegole (Carolina Cametti e Sara Borsarelli), la sciroccata trasgressiva (Elena Russo Arman), la matura in cerca di emozioni fuori tempo massimo (Cristina Crippa).
Il cuore, il vero respiro della drammaturgia, che de Capitani pare per larghissimo tratto cogliere è quello che la solleva dalle vicende che narra, per portare gli interpreti, e dunque lo spettatore, verso l’affresco di un’epoca, verso una ponderata meditazione sul piccolo mondo antico ma anche contemporaneo.
Fra queste, infatti, eccezion fatta per il protagonista maschile, nessun altra spicca in forma determinante, e anzi a turno si “danno il cambio”, per così dire, in un’altalena ora sentimentale, ora pseudo-parentale finanche morbosa, dove il progetto  è proprio quello di tratteggiare mezze figure.
La chiave di lettura più interessante che ne deriva è proprio questa indefinitezza borderline, che prevale sui fatti, sulla vicenda di per se stessa, che sfuma sullo sfondo della provincia miserabile, fatta di mogli annoiate, di corse in auto, di giovani dal disadattamento facile, e dalla profittazione sistematica.
Questo la regia lo legge perfettamente, permettendo peraltro allo straordinario fil rouge sonoro intessuto da Alessandra Novaga (chitarra elettrica) di creare il vero legame narrativo ambientale.
E’ quindi con non poco stupore (e invero anche un po’ di sconcerto) che assistiamo, nel finale a una virata verso un teatro simbolico, fatto di movimenti di massa, in schiera. Quelle che per tutto il tempo sono tragiche solitudini, si mettono assieme nella logica provincialissima del tutti addosso, per creare il mostro (il bello che sceglie la matura con il marito malato di lei che arriva al gesto estremo del delitto d’onore). Ma in realtà questa, che a prima vista sembra una lettura giustificata e comprensibile, in scena si traduce in una dinamica meccanica, che impoverisce di colpo tutta la ricchezza che nell’ora e mezza quarti precedente battuta dopo battuta, personaggio dopo personaggio, si era con pazienza costruita (per molti attori a dire la verità la medietà un po’ connota anche la prestazione teatrale. Sono in diversi, nonostante tutto, un po’ sottotono).
Ma quello che proprio non ci ha convinto è un finale fatto di movimenti artefatti, di un antinaturalismo da Bausch all’italiana, totalmente discordante con l’ordito teatrale creato.
Mi sono interrogato a lungo dopo essere uscito, infatti, (ed è anche la causa con cui questo mio pezzo arriva rispetto alla visione) il perché di un finale dal sapore così melò, mentre fino a quel momento la lettura era stata così alta, intrigante, capace di portare l’ambiente sopra la storia, l’emozione generale sopra i singoli personaggi. Non sono riuscito a darmi risposta. E così mi sono portato a casa la sensazione di quello che si era mangiato con gusto un piatto buonissimo, e poi alla fine, giusto il tempo di girare la testa, e per un brutto scherzo gli mangiano l’ultimo boccone di lasagna, quello che ci si aspettava con desiderio.
 
Di seguito il video trailer dello spettacolo

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