ELENA SCOLARI |  L’inquietante racconto di Henry James in scena al Teatro Oscar di Milano per il progetto DonneTeatroDiritti, fino al 18 novembre 2012.

Henry James è uno scrittore denso, profondo e di lettura non facile. Nella novella La bestia nella giungla avvince il lettore con una storia apparentemente fatta di niente ma piena di riflessioni originali sulla condizione dell’uomo nel mondo.

Siamo nei primi anni del ‘900 a Londra e John è un gentiluomo inglese, un borghese che fa vacanze in Italia, niente di strano, fin qui, ma l’uomo ha una caratteristica psicologica peculiare: è convinto che il suo destino sia di aspettare un evento sconvolgente che lo coinvolgerà e forse lo travolgerà. Da sempre ha questa intima consapevolezza, pur non conoscendo nulla della natura della “cosa” che gli capiterà. Confida il segreto alla dolce Catherine, conosciuta durante un soggiorno a Napoli, di rientro da una gita in barca. Dimenticatosi del fatto John reincontra la donna ad un ricevimento, molti anni dopo e da questo giorno i due non si separeranno più: la sola a conoscere la terribile unicità della vita dell’uomo, accetta di aspettare con lui l’avvento misterioso.

In questa realizzazione teatrale, per la regia di Paolo Bignamini e Annig Raimondi (quest’ultima anche interprete, insieme a Antonio Rosti), noi aspettiamo con i protagonisti, gli spettatori sono infatti sul palco, in due file di poltrone, a fondo scena, e guardano da vicino le espressioni dei due attori mutare con il passare del tempo, degli anni. Una bella soluzione, spiazzante, per sovvertire le sensazioni di tutti.

Senza raccontare per esteso la trama possiamo però dire che l’importanza di questo scritto di James sta nella maniera conturbante di trasmettere lo stordimento del protagonista davanti a qualcosa che ha dell’ineluttabile, un’incombenza inevitabile che influenza John per tutta la vita, fino al punto di coinvolgere una donna, senza la quale non avrebbe saputo sopportare il fardello. Gli anni passano e Catherine ci appare sempre più cosciente di ciò che l’uomo sta spasmodicamente attendendo, prova a dargli degli indizi, con la sua presenza, ma è destino che il gentiluomo non li colga, fino all’ultimo respiro di vita.

John vive in un continuo stato di appercezione, in filosofia è il percepire di percepire, sente di sentire qualcosa, che finirà per sovrastarlo, suo malgrado ma anche con il suo inane avallo.

Lo spettacolo si dipana in un serrato e continuo dialogo tra i due, un testo bellissimo ben recitato, soprattutto da Raimodi che ha il giusto disincanto e una delicatezza misurata nel guidare l’altro nella giungla di un’esistenza votata all’attesa insoddisfatta.

L’adattamento al testo che è stato utilizzato è di Marguerite Duras, e sottolinea il ruolo femminile, centrale anche nell’originale ma qui ancora più evidente nella sua caratteristica di genere.

Abbiamo qualche perplessità sulle scelte registiche: nella prima parte dello spettacolo abbiamo visto molti movimenti dei due attori, su e giù dal palco, secondo noi francamente poco utili e fuorvianti rispetto al nucleo essenziale. Altrettanto fuorvianti ci sono sembrati gli unici elementi scenografici: quadri confusamente astratti e pesanti (dal programma di sala non si evince l’autore) sparsi per la platea, a mo’ di galleria.

Riteniamo che i cambi d’abito e di postura di Catherine e l’allontanamento fisico dei due interpreti sulla scena dessero idea precisa del passare del tempo e della progressiva insopportabilità dell’attesa, senza altri fronzoli.

L’Evento si rivelerà consumato senza che la vittima se ne sia accorta, questa è la sua condanna.