FRANCESCO MEDICI | In tutta la storia della cristianità, fin dalle sue origini, si coglie una certa diffidenza verso la sfera della sessualità e del piacere sessuale. Alcuni padri fondatori della Chiesa fanno, anzi, una convinta apologia dell’astinenza dai piaceri dell’amore e a tutt’oggi, per i cristiani più integralisti, l’amplesso (tra i coniugi) è solo tollerabile in quanto finalizzato alla procreazione. Se la posizione ufficiale della Chiesa cristiana odierna è generalmente più aperta, permane tuttavia, per esempio, l’obbligo del celibato per il clero cattolico.
Desta d’altronde un certo stupore – in primis tra i musulmani di oggi – sfogliare alcuni testi giuridici islamici del XIII e XIV secolo i cui autori affrontano senza censure la questione della sessualità, al fine di determinare ciò che, al riguardo, è lecito oppure no alla luce degli insegnamenti della religione di Maometto. Ponendosi, ovviamente, all’interno del quadro del matrimonio (l’Islam, come noto, vieta i rapporti extraconiugali e l’omosessualità), questi antichi testi parlano in modo esplicito di desiderio, preliminari e posizioni dell’amore, attribuendo primaria importanza alle aspettative e al piacere dell’uomo e della donna. In un detto riportato (hadith), il Profeta associa l’atto sessuale tra marito e moglie a un’elemosina, in quanto atto di adorazione dinanzi al Creatore.
La sessualità è dunque, per un musulmano, espressione del credente che accoglie, senza riserve né pregiudizi, ogni dono dispensato da Allah, nello spirito come nel corpo. Perciò approfondire le proprie cognizioni nell’arte di amare non è un’azione perversa o peccaminosa ma, al contrario, un dovere per tutti i fedeli. In altre parole, per l’Islam, che intende porsi come religione dell’equilibrio, un essere umano senza sessualità non è equilibrato, come non lo è chi pratica una sessualità illecita e sfrenata. Recita un altro hadith: «Colui che è in età di matrimonio è bene che si sposi; il matrimonio è il mezzo migliore per spegnere gli sguardi lascivi e domare i desideri carnali. Colui che non può sposarsi, digiuni: sarà per lui un calmante» (al-Bukhari, XXX, 10).
È dunque in quest’ottica che va letto “al-Raud al-Atir fi nuzhat al-Khatir” (“Il giardino profumato per la ricreazione dell’anima” o anche “Il giardino profumato delle delizie sensuali”), vero e proprio manuale di erotologia araba appena ripubblicato dalle Edizioni Mediterranee nella collana “Sapere d’Oriente”. Il curioso volumetto (scoperto, si dice, nel 1850 da un ufficiale di Napoleone III di stanza in Algeria e noto in Occidente a partire dal 1884 grazie allo scrittore francese Guy de Maupassant), commissionato dal sultano di Tunisi Abdul Aziz Hafsid, fu composto presumibilmente tra il 1410 e il 1434 da Abu Abdullah Mohammed Ibn Uma An-Nefzaui, insigne giurista, letterato e medico originario di Nefzawa (nell’attuale Tunisia). L’opera, evidentemente ispirata al “Kama Sutra”, ricorda a tratti gli “Amores” e l’“Ars Amatoria” di Ovidio, e mostra numerose affinità con il nostro “Decamerone” per la presenza al suo interno di diverse novelle argute e salaci.
Il testo, articolato in una ventina di brevi capitoli, descrive nel dettaglio le innumerevoli modalità del coito; presenta opinioni relative alle qualità che uomini e donne dovrebbero possedere per essere attraenti; fornisce suggerimenti sulle tecniche sessuali e sulle precauzioni relative all’igiene; prescrive rimedi per curare le malattie veneree, l’impotenza e la sterilità; riporta un gustoso elenco di appellativi per indicare l’organo sessuale maschile e quello femminile; offre consigli alimentari per favorire l’amplesso e accurati ragguagli sul concepimento e la gravidanza; vi è inoltre una sezione dedicata all’interpretazione dei sogni e al sesso nel mondo animale.
L’autore, a dispetto dei contenuti licenziosi dell’opera (famosa come “Le mille e una notte” e assai diffusa in molti Paesi arabi, ad eccezione dell’Arabia Saudita), tiene tuttavia a presentarsi al suo pubblico come un individuo molto pio, e di ciò fanno fede le ripetute invocazioni all’Altissimo di cui è costellato il suo piccolo capolavoro, come si evince dall’introduzione, straordinario inno di lode alla bellezza femminile: «Sia lodato Allah, che ha posto la più grande gioia dell’uomo nel grembo della donna e la più grande gioia della donna nelle parti corrispondenti dell’uomo. […] Sia lodato Dio per aver creato la donna con le sue bellezze, la sua carne evocatrice di delizie, per averla provvista di lunghi capelli, di una graziosa figura […] e di gesti d’amore che accendono la passione. Il Signore del Creato ha concesso alla donna il potere della seduzione; tutti gli uomini, deboli o vigorosi, sono stati assoggettati dal Signore all’amore per la donna. La donna è l’origine dell’ordine o dell’anarchia, del sostare o del vagabondare. […] Io, servo di Dio, Gli rendo grazie; che nessuno possa salvarsi dall’amore per una donna bella e nessuno possa sfuggire al desiderio di possederla».
A questa edizione italiana, sebbene poco accurata nella traslitterazione delle voci arabe e alquanto carente negli apparati critici (cfr. “Il giardino profumato: per la divagazione della mente”, a cura di Younis Tawfik e Roberto Rossi Testa, ES, Milano 2009), va comunque riconosciuto il merito di rendere perfettamente il sapore genuino dell’originale nel raccontare di un erotismo naturale e spontaneo, scevro di qualsivoglia malizia o spirito libertino.
Per quanto concerne i capitoli dedicati alle prescrizioni per accrescere le dimensioni del pene e ai rimedi astringenti della vagina, corre infine l’obbligo al recensore di rammentare ai lettori e alle lettrici che i consigli forniti dal buon sceicco Nefzaui non rivestono alcuna attendibilità scientifica e devono pertanto essere considerati come mere curiosità di carattere storico-letterario…
Mohammed An-Nefzaui, Raud Al Atir. Arte d’amare araba, Edizioni Mediterranee, Roma 2012, pp. 179, € 12,50.
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