ELENA SCOLARI | Un’incursione bolognese di Paneacqua ci permette di parlare di un drammaturgo francese quarantenne, che ci è parso brillante e che ci piacerebbe fosse meglio conosciuto anche ad altre latitudini italiane: Pierre Notte. Nato ad Amiens nel 1969 comincia la sua carriera scrivendo due romanzi e si dedica poi al teatro, esplorando in particolare l’ambito familiare.
Abbiamo assisitito all’apertura della stagione Sguardi 2013, al Teatro Biagi D’Antona di Casalmaggiore, (tutto esaurito e doppia replica organizzata lì per lì), per l’occasione strutturato a pianta centrale, il pubblico sui quattro lati. Lo spettacolo è La mia cara famiglia (non per niente mi sono sparato).
Quello che vediamo è un vero e proprio ring, ai quattro angoli altrettanti personaggi, con il proprio sgabello da boxeur, la sequenza dei brani che compongono lo spettacolo è scandita da un gong. Nessuno di loro getta la spugna ma tutti mettono all’angolo l’altro, a turno.
Il quartetto d’attori (che ci ha infatti ricordato Quartet di Heiner Muller, nella messinscena di Bob Wilson con una magnetica Isabelle Huppert) è formato da Angela Malfitano, Francesca Mazza, Maurizio Cardillo e Pietro Piva, tutti bravi, (Piva ancora un po’ acerbo ma comunque convincente) tutti vittime e carnefici di legami parentali insopportabili.
Sulla scena si alternano varie coppie, in abiti comuni e contemporanei: marito e moglie, marito e amante, madre e figlio, sorella minore e sorella maggiore, moglie e amante, padre e figlio, un uomo vecchio e uno giovane, di tanto in tanto riuniti in ironico quartetto danzante.
La drammaturgia è composta di quarantacinque brevi quadri, scontri verbali diretti e feroci tra i personaggi, che si accusano delle più diverse nefandezze, dall’infanzia al presente. Un testo iperrealista, cinico per crudezza, a volte esilarante, con la fredda capacità di farci ritrovare nelle meschinità dei rapporti umani di tutti i giorni. È impossibile non identificarsi in alcuni scambi di battute:
LUI: “Ma tu mi amavi così com’ero”…
LEI: “No! Io ti ho amato nonostante le tue camicie con le maniche corte”!
Oppure:
LEI: “Cosa??? Il notro rapporto è uno sfacelo???”
LUI: “MA no, ho detto una grazia del cielo”…
LEI: “Lo vedi che non si capisce mai quando parli?”
O ancora l’irresistibile ricordo della sorellina che confessa di aver messo in lavastoviglie l’amato criceto della sorella maggiore…
La regia è il risultato di un lavoro corale dei quattro interpreti, tutta basata su un chirurgico uso dei tempi, serrati ma non forsennati, i movimenti degli attori sono metafore di lotte, mai eccessivi, luci semplici, la recitazione asciutta e credibile. Possiamo sollevare qualche perplessità sull’utilizzo delle voci fuori campo, idea non chiarita e che crea uno scarto svantaggioso rispetto alla limpidezza della scena in diretta.
Questo lavoro ci ha suscitato anche altri rimandi, forse immaginati anche dall’autore: il film Carnage di Polanski (dal magnifico testo di Yasmina Reza) e un altro drammaturgo francese: Jean Luc Lagarce, scomparso molto giovane, di cui Luca Ronconi ha messo in scena “Juste la fin du monde”. Questi esempi sono forse ancora più crudeli, senza speranza.
Nella scrittura di Pierre Notte c’è una frequente presenza di humour, non sempre nero, che ci lascia credere ad una possibilità di riscatto, nonostante le bassezze di cui tutti si macchiano.
I dialoghi tra i pugili parenti sono fulminanti, vogliono colpire per mettere ko, non ci si accontenta di una vittoria ai punti, sconfitta e vittoria devono essere inequivocabili, qui porta il rancore domestico.
La famiglia è un inferno, ci dice Notte. L’invidia, la frustrazione, il senso del sacrificio non riconosciuto, le incomprensioni producono una rabbia forte, che si cova per anni e che prima o poi esplode. Negli spari finali.