GINA GUANDALINI | Il 6 gennaio 1993 moriva a Parigi, a cinquantatrè anni, il più celebre danzatore del ventesimo secolo, il tartaro Rudolf Nuryeyev.
E’ recente la costituzione di un Legacy Project, un insieme di materiale fotografico e visuale che ne perpetui la memoria artistica e ne indichi la perdurante influenza siulla coreografia, sul teatro e sulla moda dei nostri giorni.
Era nato nel 1938, primo maschio dopo tre sorelline, in un treno nel quale la madre stava raggiungendo il marito, militare sovietico stazionato presso al confine cinese. Entrambi i genitori erano tartari di Kazan, originariamente di cultura islamica, ma entrambi appassionati del credo comunista. Tra i tre e i quindici anni Rudi visse con la madre e le sorelle ad Ufa, in Bashkiria, nella più nera povertà; che non impedì alla madre – il padre era quasi sempre dislocato in lontani avamposti sovietici – di educarlo ad amare la musica e la danza e a sognare. Ancora bambino, Rudi interpreta danze folkloristiche con passione e conquista il pubblico, guadagnando zollette di zucchero e fette di pane che porta a casa. Quando ha quindici anni a Ufa viene aperta una scuola di balletto, con docenti che apprezzano il suo talento. Due anni dopo, contro la volontà del padre, il diciassettenne Nureyev va a Leningrado, dove viene accolto nella storica Accademia Vaganova. Non tornerà più indietro.
Concentrato sulla tecnica ballettistica e contemporaneamente avidissimo di conoscere sempre più musica, sempre più letteratura, sempre più tradizione reatrale, Nuryeyev, anarchico egocentrico e iperattivo, si scontra spesso con gli insegnanti .Alla fine del ’58 debutta come solista al Teatro Kirov di Leningrado, e nonostante i suoi scontri si estendano a colleghi e costumisti, subito si parla di lui come di un sorprendente virtuoso e di una personalità originale, che rifiuta di adeguarsi alla tradizione, alle usanze dei predecessori. Intorno a lui si crea subito, nell’appassionato pubblico della “città delle notti bianche” un clima di fanatismo e di mito.
Insofferente della disciplina di partito, non interessato a nascondere la propria omosessualità, costantemente litigioso, il giovane divo viene sottoposto a sanzioni disciplinari. Quando il Kirov va in tournée a Parigi nel 1961, nessuno nella compagnia è sorpreso dalla sua drammatica defezione in Occidente. Il mondo libero lo accoglie a braccia aperte, Parigi, Londra e Montecarlo se lo contendono, Khrusciov firma una condanna a morte nei suoi confronti
Non si è mai visto danzare a quel modo, senza risparmio durante le prove, con passione travolgente in palcoscenico, con un atletismo che il balletto maschile occidentale non aveva più sperimentato da mezzo secolo, con sprezzo delle regole accademiche. Tutti sono incuriositi dall’aspetto beatnik di questo artista: capelli lunghi e arruffati, stivaletti, giacconi di pelle, due o tre anni prima che i Beatles divulghino il nuovo stile di abbigliamento; tutti sono travolti dalla curiosità divorante di Nureyev verso ogni aspetto del nuovo mondo che lo accoglie. “Ditemi tutto di Freud: quali porte ha aperto?” chiede, in buon inglese, al critico londinese che lo ospita per il debutto al Covent Garden. “Devo ascoltare tutti i dischi di Maria Callas” annuncia a Margot Fonteyn appena vengono presentati.
La Fonteyn balla da prima che Rudi nascesse, è l’ambasciatrice mondiale della danza classica più raffinata – e sta pensando di ritirarsi. L’arrivo del giovane fuggiasco tartaro cambierà la sua vita e la sua carriera; diventeranno la più osannata coppia del balletto romantico e poi moderno per vent’anni.
Prestissimo Nuryeyev scopre che se la danza americana ed europea ha molto da offrirgli, anche lui ha da insegnare molte cose, che nel 1961 sopravvivono solo nella tradizione russa.
Il Covent Garden si affida ciecamente a lui – un ventiseienne – per nuove coreografie de La Bayadère,Le Corsaire, Giselle. A Vienna il ruolo del protagonista del Lago dei cigni viene da lui ampliato a dimensioni mai viste in Occidente. L’uomo che danza non è più solo il porteur della ballerina, ma il centro dello spettacolo. Il pubblico regisce di conseguenza, dedicando al “tartaro volante” un culto clamoroso, dal Canada all’Australia, da Stoccolma a Spoleto.
Nel 1964 Nuryeyev, a Roma, viene conquistato da Vittoria Ottolenghi, critica ed esperta di danza di vasta cultura – che ci ha lasciato pochi giorni fa – con il consiglio di leggere La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica di Mario Praz. Da qui Rudi trae l’ ispirazione del balletto Manfred , dal poema di Byron. Ama l’Italia e il Mediterraneo, ma anche e soprattutto la Londra beat e la San Francisco hippy. Uno stile di vita di frenetica promiscuità omosessuale è certo la causa dell’AIDS che gli viene diagnosticato fin dal 1984.
Tuttavia la carriera continua instancabile, nonostante l’energia fisica e la perfezione formale del periodo 1958-1975 siano ormai un ricordo. Chi lo vede negli anni Ottanta è come sempre affascinato dalla sua immarcescibile curiosità di sperimentatore, dalla sua continua volontà di rinnovamento. GiraValentino con Ken Russell. Seduce Roland Petit, George Balanchine, Jerome Robbins, Maurice Béjart, Martha Graham e Mischa van Hoecke – tutti artisti della creazione coreutica che per principio non si prosternano ai “divi” – e li convince a ideare balletti per lui, intorno a lui, insieme a lui; mentre continua a portare i suoi principi romantici nei grandi teatri.
E’ per questo che a vent’anni dalla sua scomparsa il mondo della musica e della danza deve fare i conti con Rudolf Nuryeyev, che ha cambiato il volto del balletto e ha aperto prospettive di creazione e di riscoperta dalle quali il terzo millennio può ancora ricavare ispirazione.