RENZO FRANCABANDERA | La commedia nel teatro contemporaneo è diventata sempre più rara e difficile da incrociare, e il motivo è piuttosto semplice: far ridere con intelligenza e arguzia è diventato sempre più difficile. Il gusto medio si è per certa parte banalizzato, portando ad esiti drammaturgici mediocri, per altra invece sofisticato, con il rischio di produrre invece testi un po’ esclusivi ed elitari.
Per altro verso, quello dell’attore capace di abbinare a struggenti maschere tragiche la mimica della commedia, quegli aggrottamenti di sopracciglia, quegli sguardi di traverso che valgono cento battute, è un mestiere che è un po’ scomparso, soppiantato da pirotecnici atleti della scena, espressivi come un portafiori cinese in similpocellana.
Ecco dunque che quando si assiste a testi brillanti, interpretati a dovere, quasi quasi vien fuori la lacrimuccia. E da questo punto di vista non possiamo non certificare come un inesauribile focolaio di talenti addestrati alla scuola dell’ironia sia la scuola teatrale campana. E’ incredibile come da questo punto di vista la regionalità vada oltre lo stereotipo e permetta agli interpreti di seguire l’evoluzione della scena, continuando a garantire interpreti di rango.
C’è da dire, a proposito dei testi di Pau Mirò cui questa riflessione si riferisce, che, come nella miglior tradizione, la vera commedia porta un riso amaro, quell’espressione unica della risata che ti si smorza in faccia perché la commedia in genere parla di una sconfitta. E quando gli sconfitti sono i deboli, i soliti ignoti, siamo già nella seconda metà del XX secolo e nelle sceneggiature che si sono originate dal neorealismo in poi, di cui noi italiani siamo stati maestri. Fa dunque quasi amorevole rabbia vedere la bandiera portata avanti da un catalano, che certo come indole non deve averne una diversa da quella mediterranea, ma è un po’ come vendere la Ducati ai tedeschi. Un pochetto ce rode.
Detto questo come prologo, non resta che raccontare il gradevole esito della collaudata ditta Ianniello/Mirò, con il primo che daalcuni anni, con Chiòve prima e con Jucature ora, porta in scena i testi del drammaturgo catalano. Il Piccolo di Milano ha dedicato una piccola personale al drammaturgo, ospitando in questi giorni al Teatro Studio Expo i due allestimenti.
Di Chiòve avevamo parlato alcuni anni fa. Jucature l’abbiamo visto con piacere la settimana scorsa. La storia è quella di un gruppo di amici che si incontra per giocare a carte. I quattro sono caratteri prototipici: il giovane attoruncolo mai scritturato, l’impiegato del camposanto frequentatore di prostitute est europee, il vecchio professore di matematica, il bottegaio fallito. Figure border line che per uscire dagli affanni delle loro vite architettano un colpo in banca: un canovaccio narrativo neanche particolarmente originale, ma architettato bene nella costruzione dei personaggi. Siccome la commedia scritta bene è rara, quella interpretata bene ancor di più, Jucature appartiene ad un sottoinsieme intersezione dei dei precedenti, di cui fan parte pochi elementi, che dunque occorre segnalare. Il testo di Pau Miro’ per la regia di Enrico Ianniello che lo interpreta insieme a Renato Carpentieri, Tony Laudadio e Marcello Romolo in una produzione Teatri Uniti in collaborazione con OTC, Institut Ramon Llull, vive di una vita pulsante. L’allestimento lo veste di un realismo che è proprio del testo e che non cerca letture stravaganti. Anzi è proprio il realismo ad esaltare la stravaganza e l’assurdità di questi personaggi dal tratto concreto e possibile, in cui ogni spettatore possa trovare la parte incosciente di se stesso. Il testo forse nel finale flette un po’ ma in questa ora e poco più di spettacolo, ambientata in un soggiorno di una casa piccolo borghese attorno a un tavolo, i giocatori raccontano il loro destino, lo segnano, lo rendono concreto. La psicologia dei personaggi è ben delineata e gli interpreti la indossano in modo casual, confortevole. Da vedere, così come Chiove, in scena in questi giorni.